#iorestoacasaeracconto
Giorni di quarantena: 39. Percepiti: un’infinità
La pandemia vista dagli occhi di una diciottenne
venerdì 24 aprile 2020
Chi l'avrebbe immaginato che il 2020, l'anno dei miei 18 anni, tanto atteso e pieno di aspettative si sarebbe trasformato in mesi passati a casa senza avere la certezza di un futuro prossimo. Ci siamo ritrovati catapultati nelle nostre case a combattere contro un virus che veniva dalla Cina e che fino a qualche mese fa era ritenuto una banale influenza incapace di arrivare in Italia.
E invece è arrivato, ha provocato morti e si è diffuso fino a diventare una pandemia. Che parola strana, quante volte l'abbiamo letta nei libri di storia e l'abbiamo associata ad una cosa ormai passata? E invece ora siamo qui, nelle nostre case, senza poter uscire se non per fare la spesa. I nostri volti sono coperti da una mascherina, le mani dai guanti, il Presidente del Consiglio che parla al popolo, norme durissime, strade e piazze vuote; sembrano scene tratte da un film, eppure è tutto vero.
Nelle città tutto tace: mi piace pensare alle statue e ai monumenti che "si sentono tristi" abituati a sentire la gente parlare, conoscere le loro conversazioni, i racconti, vedere i bambini a bocca aperta quando li guardano e ora invece c'è il silenzio, non c'è nessuno. Ci stiamo abituando a vivere in una bolla che ci divide dal mondo esterno e da tutti i nostri affetti facendoci capire l'importanza di una parola, un gesto, un abbraccio. Intanto la primavera lì fuori non ci aspetta: gli uccellini cantano e i fiori sbocciano aumentando quel clima di pacatezza così in contraddizione con i nostri animi.
Ci si sente arrabbiati, ansiosi, tristi, depressi, incapaci di fare qualcosa che possa migliorare la situazione; si capisce il valore del tempo che lasciamo trascorrere troppo in fretta. In tv si parla solo del virus assassino e c'è chi, per non pensare, ha iniziato a sfornare pane e dolci o chi invece si allena per la prova costume che di questo passo sarà sui balconi delle nostre case aspettando l'ultimo decreto; la natura ci ha concesso una pausa dalla solita routine piena di cose da fare. Sta aumentando la solidarietà e ci si sente un po' più uniti in questa tragica situazione: le mascherine sono finite e le signore anziane le cuciono per tutto il paese, si collabora di più, decine di volontari si sono resi disponibili per aiutare chi in questo momento ha bisogno di una mano.
Chi se lo sarebbe aspettato che a 18 anni avrei dovuto affrontare la guerra, restando a casa come in trincea per sconfiggere un nemico comune a tutto il mondo. Un nemico che uccide senza guardare in faccia e che ha già fatto troppe vittime. Andrà tutto bene, ora è il nostro turno: imbracciamo guanti, indossiamo mascherine e restiamo a casa. Vinceremo anche questa.
E invece è arrivato, ha provocato morti e si è diffuso fino a diventare una pandemia. Che parola strana, quante volte l'abbiamo letta nei libri di storia e l'abbiamo associata ad una cosa ormai passata? E invece ora siamo qui, nelle nostre case, senza poter uscire se non per fare la spesa. I nostri volti sono coperti da una mascherina, le mani dai guanti, il Presidente del Consiglio che parla al popolo, norme durissime, strade e piazze vuote; sembrano scene tratte da un film, eppure è tutto vero.
Nelle città tutto tace: mi piace pensare alle statue e ai monumenti che "si sentono tristi" abituati a sentire la gente parlare, conoscere le loro conversazioni, i racconti, vedere i bambini a bocca aperta quando li guardano e ora invece c'è il silenzio, non c'è nessuno. Ci stiamo abituando a vivere in una bolla che ci divide dal mondo esterno e da tutti i nostri affetti facendoci capire l'importanza di una parola, un gesto, un abbraccio. Intanto la primavera lì fuori non ci aspetta: gli uccellini cantano e i fiori sbocciano aumentando quel clima di pacatezza così in contraddizione con i nostri animi.
Ci si sente arrabbiati, ansiosi, tristi, depressi, incapaci di fare qualcosa che possa migliorare la situazione; si capisce il valore del tempo che lasciamo trascorrere troppo in fretta. In tv si parla solo del virus assassino e c'è chi, per non pensare, ha iniziato a sfornare pane e dolci o chi invece si allena per la prova costume che di questo passo sarà sui balconi delle nostre case aspettando l'ultimo decreto; la natura ci ha concesso una pausa dalla solita routine piena di cose da fare. Sta aumentando la solidarietà e ci si sente un po' più uniti in questa tragica situazione: le mascherine sono finite e le signore anziane le cuciono per tutto il paese, si collabora di più, decine di volontari si sono resi disponibili per aiutare chi in questo momento ha bisogno di una mano.
Chi se lo sarebbe aspettato che a 18 anni avrei dovuto affrontare la guerra, restando a casa come in trincea per sconfiggere un nemico comune a tutto il mondo. Un nemico che uccide senza guardare in faccia e che ha già fatto troppe vittime. Andrà tutto bene, ora è il nostro turno: imbracciamo guanti, indossiamo mascherine e restiamo a casa. Vinceremo anche questa.