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Scuola e Lavoro

"Treno della memoria", l'esperienza del Liceo Artistico "Stupor Mundi"

I ragazzi sono partiti il 26 gennaio e faranno ritorno il 3 febbraio

Il Treno della Memoria è un percorso educativo che si poggia su quattro parole chiave: STORIA, intesa come approfondimento della Seconda Guerra Mondiale, della sua ricaduta sui territori, dei punti più bassi raggiunti dalla recente storia del mondo; MEMORIA, come responsabilità individuale e collettiva, da tramandare alle generazioni future; TESTIMONIANZA ovvero l'incontro con tutte le situazioni che nel presente vedono la perdita della dignità e dei diritti umani, per non scordare che il "non deve accadere mai più" dipende dallo sforzo collettivo di tutti e, infine, IMPEGNO, perché tutti, nella quotidianità delle nostre vite, si possa vigilare e contribuire al non ripetersi degli errori del passato.


Il centro del progetto è stato il viaggio a Cracovia (Polonia), dopo una tappa di due giorni a Berlino, che si è svolto dal 26 gennaio al 3 febbraio 2023. Il viaggio ha avuto come scopo ultimo la visita al Campo di Concentramento di Auschwitz. I quaranta ragazzi del Liceo Artistico «Federico II, Stupor mundi» di Corato sono stati accompagnati dai proff. Mariella Capobianco, Serena Petrone ed Eliseo Tambone.

È un viaggio nel mistero del male, che dal cuore dell'Europa del '900 ti porta dritto al cuore del male che chiunque può scoprire anche in se stesso, la cui disarmante consapevolezza ti pone, a ogni passo, ogni sguardo che rivolgi in quel luogo, una sola domanda: come è potuto accadere? Come d'improvviso, avverti un brivido dell'anima che ti accompagna in tutto il percorso. Poi, la parola comincia a farsi flebile, fino a spegnersi del tutto, immergendoti nel silenzio: Auschwitz! Il silenzio di quelle vittime la cui dignità può essere finalmente vendicata, rivendicata e risarcita solo nella memoria di quel silenzio. Per questo, di quella memoria dobbiamo tutti averne cura.

I nostri giovani, che sembrano distratti, disinteressati, a volte insensibili ai tanti problemi della quotidianità, in realtà, mostrano una grande capacità di discernere i problemi dai non problemi, e una impressionante sensibilità di fronte alla domanda di senso della vita e al male che è sempre lì in agguato, vicino a noi ma anche dentro di noi. Nella visita ai campi di Auschwitz e di Birkenau i loro sguardi si perdono, pieni di angoscia e indignazione quanto più cresce la consapevolezza dell'illimitata capacità dell'uomo di infliggere sofferenza agli altri.

Nel lager capisci che la storia non è come quel racconto razionale che i manuali spiegano secondo cause ed effetti, contesti economici, sociali, religiosi e così via, insomma, qualcosa di comprensibile perché razionale, no. Il lager stravolge la narrazione storica, perché, di fronte all'infinita sofferenza che l'uomo è in grado di infliggere all'altro uomo ritenuto "diverso", ti fa capire che, in fondo, la storia quasi sempre è vuoto di ragione, è stupidità. Ad Auschwitz ti assilla la domanda: "nell'uomo c'è più pietà o più malvagità?". Cioè: desideriamo di più la sofferenza o la felicità degli altri?

Tuttavia, «la vita non è il male» ci ammonisce Gabriella Caramore, ricordando Grossman. Infatti, è possibile snidare l'umano anche lì dove l'umano è negato, come nei lager. Perciò, non dobbiamo mai arrenderci al male perché nulla può contro la bontà. Per quanto la bontà sia fragile, è invincibile, come il piccolo Davide che piega il gigante Goliath: asciugare una lacrima, suscitare un sorriso, offrire un pezzo di pane a un prigioniero, il soldato che fa bere con la sua borraccia il nemico ferito, un imprenditore che salva la vita a persone perseguitate, un farmacista che offre salvezza dai lager e farmaci gratuiti ai poveri, insomma tracciare un segno di bellezza in una persona oppressa è ciò che, nonostante tutto, ci fa dire che «la vita non è il male».

La bontà dell'uomo per l'altro uomo, senza testimoni, senza logica, senza fondamenti teorici, una bontà piccola di un piccolo esito è solo là dove c'è un cuore buono, dice Grossman. La bontà nasce da uno sforzo del cuore perché è nella sua profondità che risiede. Se la profondità è abitata dalla bontà, allora, ci ammonisce H. Arendt, il male può agire solo in superficie, in modo estremo, ma non in profondità. Può invadere tutto il mondo, ma cresce solo in superficie, come un fungo. Sfida il pensiero, ma quando il pensiero scende nella profondità delle cose perché ne cerca la radice, non lo trova, perché il male non ha radici, non risiede nella profondità, esso è superficiale, è banale. La banalità del male è nella sua superficialità, perché solo il bene ha profondità. Una profondità nascosta, ma che è alla base della inesauribile capacità di bene dell'essere umano, perché del bene, siamo figli, non del male.

Nei lager sono stati annientati dai 6 ai 10 milioni di persone: uomini, donne, bambini, anziani, disabili, omosessuali oppositori politici e testimoni di Geova senza alcun motivo. Ma un crimine ancora più grande è stato il tentativo di annientare la memoria di quell'annientamento. Le SS, riferiscono che molti sopravvissuti come Simon Wiesental, si divertivano a dire cinicamente ai prigionieri: "in qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. E anche quando qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei lager, saremo noi a dettarla".

Molti sopravvissuti riferiscono che l'incubo notturno più frequente era il pensiero: "anche se raccontassimo, non saremmo creduti". Per fortuna le cose non sono andate come le vittime temevano e i nazisti speravano. Il vincitore, questa volta, non è stato padrone della verità, in grado anche di manipolarla, nasconderla e distruggerla, e la storia di quell'orrore è giunto fino a noi. Ma che ne sarà quando l'ultimo sopravvissuto non ci sarà più? Chi racconterà quell'orrore? La nostra memoria la racconterà, se saremo in grado di tenerla viva e di raccontarla alle nuove generazioni. Se l'esperienza dei nostri ragazzi ad Auschwitz servirà a prolungare quella memoria alle prossime generazioni, allora dico alle carissime Mariella e Serena che il freddo patito e la fatica condivisa non sono stati vani, perché i nostri giovani avranno compreso che, malgrado tutto, «la vita non è il male» perché risiede in tutte e tutti noi una inesauribile capacità di bene, basta un piccolo sforzo del cuore. Del bene, siamo figli, non del male. All'ingresso di un blocco di Auschwitz è scritta in ebraico la preghiera di un carcerato a cui nessuna violenza ha potuto spegnere la fede: «io credo, io credo che Dio arriverà, anche se non so quando, io lo aspetto".
  • Liceo Artistico
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