"Il fatto non sussiste": Mary Tota assolta dall'accusa di diffamazione
La giornalista coratina era stata denunciata dall'ex ministro Teresa Bellanova
I tre avevano riferito sulle rispettive testate (ilfattoquotidiano.it, La7 e Il tempo) della causa di lavoro intentata da Maurizio Pascali, ex addetto stampa dell'esponente di Italia Viva, che aveva citato Bellanova in giudizio per vedersi riconoscere il giusto inquadramento contrattuale (e la conseguente retribuzione) per i tre anni in cui aveva lavorato al suo servizio come partita Iva. La Corte d'Appello di Lecce aveva anche dato ragione a Pascali, condannando Bellanova e il Pd (all'epoca dei fatti il suo partito) ad un risarcimento complessivo di circa 50 mila euro.
Lo scorso 19 ottobre, un po' a sorpresa, il pubblico ministero onorario aveva chiesto la condanna ad un anno di reclusione per Pascali e a sei mesi ciascuno per gli altri tre giornalisti, compresa Mary Tota. Un episodio che ha suscito lo sdegno dei rappresentanti della categoria. L'assoluzione con formula piena chiude la singolare vicenda.
La cronista ha desiderato commentare, attraverso i social, quanto accaduto.
"Assolti perché il fatto non sussiste".
Non ho detto e scritto una sola parola per 8 anni.
Perché la giustizia non è, per me, un concetto astratto. È una bussola che orienta, ogni giorno, il mio comportamento. Ho aspettato che la verità la dicesse chi è chiamato ad accertarla. E la verità è che non ho diffamato Teresa Bellanova, raccontando della vertenza di lavoro in cui, da sottosegretaria al Lavoro, si era impelagata. Perché per me il giornalismo è raccontare fatti veri e accertati e, senza commenti, lasciare che il lettore formi il proprio pensiero. Che sia uguale o diverso dal mio, il fine unico è che pensi, rifletta. Come ha fatto chi, in questi 8 anni, ha continuato ad ascoltare le interviste imparziali e puntuali che ho fatto alla persona che mi ha denunciata per diffamazione e, inizialmente, concorso in estorsione. Il giornalismo non è un'arma, per me. Nemmeno quando intervisto chi mi denuncia.
Ma oggi qualcosa devo dirla.
Anzitutto perché ho scelto questa foto scattata al termine di una udienza, per dirla. Perché entrambe le persone ritratte non mi hanno mai fatta sentire sola. Mai.
Abbiamo scelto il miglior avvocato in Italia, Roberto Eustachio Sisto per difendere non solo me, Danilo Lupo e Francesca Pizzolante, ma la libertà di stampa. Perché questo era in ballo in questo processo. Un pilastro intangibile della Costituzione italiana, l'articolo 21.
E l'avvocato Sisto l'ha difeso. E ci ha difesi. Con tenacia, competenza, consapevolezza e studio.
Allo stesso modo ha fatto il direttore de Il Fatto Quotidiano.it Peter Gomez. L'ex sindacalista, val la pena dirlo, non ha querelato la testata, il direttore E me, come in genere si fa. Ha querelato SOLO me. È più semplice colpire il piccolo operaio, del resto. Quello che l'ex sindacalista/ex ministra/ex sottosegretaria/ex parlamentare non sapeva, è che Peter Gomez, e la redazione composta da colleghi come Pierluigi Giordano Cardone non lasciano soli i collaboratori. Loro no. Loro non lo fanno. Sono venuti per me da Milano. Sono venuti a difendere me. Puntellandomi, costantemente.
Ho imparato tante cose in questo processo. Come si difende un lavoratore e come non lo si fa. Come si difende, con silenzio e competenza, la giustizia e la Carta costituzionale per il bene di tutti, non del singolo.
L'ultima parola, di questo lungo e forse noioso post, è un sassolino che devo togliermi dal 5 aprile 2019. Quando la signora Teresa Bellanova,
parlando della vicenda, scrisse: "Sarebbe forse opportuno che chi ha partecipato a forme di linciaggio mediatico e sono tanti, testate e giornalisti, chiedesse scusa. Ma forse è chiedere troppo".
E dunque, chiedo: chi deve chiedere scusa a chi, Teresa?
Ma forse è chiedere troppo.