Editoriale
Il 12 luglio. Riflessioni di un cronista di provincia
Da quel 12 luglio molte cose sono cambiate
Corato - mercoledì 12 luglio 2017
10.07
Comincio a scrivere con la consapevolezza che queste mie righe sono soltanto la riflessione di un piccolo cronista di provincia che si mescoleranno a quelle molto più autorevoli di tanti colleghi che oggi ricordano il disastro ferroviario sulla tratta Andria - Corato ad un anno esatto dalla tragedia. Mi sono chiesto persino quanto fosse utile che le mie parole si aggiungessero alle tante che in questi giorni affollano giornali, social network, blog. Forse effettivamente non sarà utile, ma oggi, in questo giorno caldissimo, proprio come un anno fa, non posso farne a meno.
Sono stato tra i primissimi cronisti a raggiungere il luogo del disastro, quando si parlava di "soltanto" quattro morti. Minuto dopo minuto il bilancio si aggravava sempre di più. Ho sentito forte, insieme ai miei giovani colleghi della stampa locale, la responsabilità di raccontare non solo ai miei concittadini ma al mondo intero quanto era accaduto e quanto ancora stava accadendo su quel binario, mentre continuavamo ad ascoltare in sottofondo il frinire delle cicale, in un canto di morte e disperazione. Abbiamo raccontato del grande cuore dei pugliesi e dell'Italia intera, stretta nel cordoglio di una tanto inspiegabile quanto ingiusta tragedia. Lo abbiamo fatto e non ha senso continuare a farlo. Rischieremmo di infiammare una ferita che mai si rimarginerà.
Da quel 12 luglio molte cose sono cambiate. Tante, troppe. È cambiata la vita di chi era su quel treno ed è fortunatamente riuscito a sopravvivere al disastro. È cambiata la vita delle famiglie delle vittime; è cambiata la vita dei pendolari, dei lavoratori della Ferrotramviaria. Ed (almeno speriamo) è cambiato il modo di concepire la sicurezza nei trasporti. Oggi, dopo che sono morte 23 persone, il treno viaggia a 50 km/h; i governanti discutono di sistemi di sicurezza sui treni e la giustizia apre gli occhi su una serie di colpe o omissioni di cui nessuno, sino alla morte di 23 persone, aveva mai discusso. Tutti o quasi, però, sono rimasti ai loro posti.
È cambiata anche la vita delle comunità che hanno pianto le loro vittime. Ventitrè persone non ci sono più; strappate alla loro vita, all'affetto delle loro famiglie, ai loro sogni, progetti e desideri. Ventitrè persone, però, attraverso i loro cari, continuano a vivere nel ricordo delle loro storie, ognuna delle quali riserva un affascinante ritratto di quanto la vita sia bella e meriti di essere vissuta. L'intitolazione del parco della musica a Ruvo di Puglia alla memoria del giovane trombettista Antonio Summo, la più giovane vittima del disastro ferroviario, non servirà a riportarlo tra le braccia dei suoi cari, ma saprà comunicare ai tanti giovanissimi l'importanza di inseguire i propri sogni. Proprio come Antonio, studente, musicista e sognatore.
Un pensiero particolare voglio riservarlo in questo giorno a due persone, incontrate nella mia attività di cronista, ma che mi hanno trasmesso tanto, anche con i loro silenzi. Vincenzo Tedone e Franco Caterino, rispettivamente padre di Francesco Ludovico Tedone e Luciano Caterino, le due vittime coratine di questa grande tragedia.
Penso alla dignità del loro dolore, alla loro forza che mai è potuta mancare per essere di sostegno a chi quanto loro ha sofferto per la perdita delle persone care. Alla loro fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, all'umiltà con la quale ammettono di aver imparato tanto dai loro figli. E penso al loro desiderio di continuare nel percorso segnato dai loro figli affinché nulla della loro esistenza terrena vada perduto.
Ed è per loro che, oggi, ho scelto di mettere giù queste righe pur consapevole che si mescoleranno a tante altre.
Sono stato tra i primissimi cronisti a raggiungere il luogo del disastro, quando si parlava di "soltanto" quattro morti. Minuto dopo minuto il bilancio si aggravava sempre di più. Ho sentito forte, insieme ai miei giovani colleghi della stampa locale, la responsabilità di raccontare non solo ai miei concittadini ma al mondo intero quanto era accaduto e quanto ancora stava accadendo su quel binario, mentre continuavamo ad ascoltare in sottofondo il frinire delle cicale, in un canto di morte e disperazione. Abbiamo raccontato del grande cuore dei pugliesi e dell'Italia intera, stretta nel cordoglio di una tanto inspiegabile quanto ingiusta tragedia. Lo abbiamo fatto e non ha senso continuare a farlo. Rischieremmo di infiammare una ferita che mai si rimarginerà.
Da quel 12 luglio molte cose sono cambiate. Tante, troppe. È cambiata la vita di chi era su quel treno ed è fortunatamente riuscito a sopravvivere al disastro. È cambiata la vita delle famiglie delle vittime; è cambiata la vita dei pendolari, dei lavoratori della Ferrotramviaria. Ed (almeno speriamo) è cambiato il modo di concepire la sicurezza nei trasporti. Oggi, dopo che sono morte 23 persone, il treno viaggia a 50 km/h; i governanti discutono di sistemi di sicurezza sui treni e la giustizia apre gli occhi su una serie di colpe o omissioni di cui nessuno, sino alla morte di 23 persone, aveva mai discusso. Tutti o quasi, però, sono rimasti ai loro posti.
È cambiata anche la vita delle comunità che hanno pianto le loro vittime. Ventitrè persone non ci sono più; strappate alla loro vita, all'affetto delle loro famiglie, ai loro sogni, progetti e desideri. Ventitrè persone, però, attraverso i loro cari, continuano a vivere nel ricordo delle loro storie, ognuna delle quali riserva un affascinante ritratto di quanto la vita sia bella e meriti di essere vissuta. L'intitolazione del parco della musica a Ruvo di Puglia alla memoria del giovane trombettista Antonio Summo, la più giovane vittima del disastro ferroviario, non servirà a riportarlo tra le braccia dei suoi cari, ma saprà comunicare ai tanti giovanissimi l'importanza di inseguire i propri sogni. Proprio come Antonio, studente, musicista e sognatore.
Un pensiero particolare voglio riservarlo in questo giorno a due persone, incontrate nella mia attività di cronista, ma che mi hanno trasmesso tanto, anche con i loro silenzi. Vincenzo Tedone e Franco Caterino, rispettivamente padre di Francesco Ludovico Tedone e Luciano Caterino, le due vittime coratine di questa grande tragedia.
Penso alla dignità del loro dolore, alla loro forza che mai è potuta mancare per essere di sostegno a chi quanto loro ha sofferto per la perdita delle persone care. Alla loro fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, all'umiltà con la quale ammettono di aver imparato tanto dai loro figli. E penso al loro desiderio di continuare nel percorso segnato dai loro figli affinché nulla della loro esistenza terrena vada perduto.
Ed è per loro che, oggi, ho scelto di mettere giù queste righe pur consapevole che si mescoleranno a tante altre.