Attualità
Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, «Lasciarsi coinvolgere dalla bellezza delle diversità»
La riflessione di Riccardo Garbetta, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes
Corato - sabato 26 settembre 2020
Comunicato Stampa
Domenica 27 settembre sarà celebrata la 106^ edizione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Dal 1914 è sempre stata un'occasione per dimostrare la preoccupazione per le diverse categorie di persone vulnerabili in movimento, per pregare per loro mentre affrontano molte sfide, e per aumentare la consapevolezza sulle opportunità offerte dalla migrazione. Il titolo scelto dal Santo Padre per il suo messaggio annuale è "Come Gesù Cristo, costretti a fuggire" e si concentrerà sulla pastorale degli sfollati interni (IDP). Di seguito, una riflessione di Riccardo Garbetta, direttore dell'Ufficio diocesano Migrantes dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie.
«Suona strano, in questo lunghissimo periodo di precarietà che viviamo, dover parlare di cambiamenti climatici, carestie, inondazioni che mettono in ginocchio intere popolazioni in svariate parti del nostro meraviglioso pianeta, quando il nostro unico pensiero è la pandemia legata al covid 19.
Eppure, per riflettere sui motivi della mobilità umana, il santo Padre ha voluto ricordare, nel suo messaggio per la 106ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, l'importanza che il degrado e il deteriorarsi degli equilibri naturali riveste nella mobilità di intere etnie all'interno degli stessi Paesi di appartenenza o, al più, entro i confini degli stessi continenti.
La storia della dinastia davidica inizia proprio con una migrazione per carestia, quando Noemi e suo marito Elimèlech lasciano Betlemme per divenire migranti nella terra dei moabiti.
Se l'atteggiamento dei moabiti fosse stato sulla falsariga di quello che noi abbiamo verso i migranti…forse sarebbe stata un'altra storia.
La sola Africa, con poco più di un miliardo di abitanti, ha al suo interno oltre 21 milioni di persone che migrano nello stesso continente a causa di siccità o calamità naturali, che rendono la loro stessa sopravvivenza molto problematica.
Ci siamo ritrovati a voler arginare un flusso di migranti provenienti dal nord Africa, sentendoci "invasi" da chissà quali portatori di covid 19, vivendo per altro, le stesse fragilità che accompagnano i migranti provenienti da ogni luogo del pianeta, ignorando la stragrande schiera di profughi in marcia dinanzi ad inondazioni, pestilenze.
Ma, riprendendo l'esortazione del santo Padre nel suo messaggio, occorre fare un piccolo passo verso la conoscenza di coloro che fanno parte della mobilità umana; conoscere per comprendere le dinamiche che spingono persone ad intraprendere cammini che somigliano troppo all'esodo compiuto dalla famiglia di Nazareth, in fuga dal pericolo di una persecuzione nella sua terra.
È oltremodo importante, in questo nuovo modo di vivere la precarietà nata dalla pandemia, farsi prossimo di coloro che, oltre a dover fare i conti con carestie, alluvioni, cambiamenti del clima, persecuzioni razziali, devono anche trovare la forza per poter ricominciare a vivere in una parvenza di dignità. E il nostro servire potrà rendere meno doloroso il distacco da quei beni che ogni uomo crea attraverso le relazioni e che, necessariamente, deve interrompere nel suo migrare.
Lo scorso 10 aprile, venerdì di Passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, tutti ci siamo ritrovati in quel silenzio assurdo, vissuto in piazza san Pietro; in quel silenzio siamo stati invitati ad ascoltare le uniche voci che si alzavano, voci di tutti i poveri, i migranti del pianeta che incarnavano il Servo Sofferente e Offerente sulla Croce. La strada che porta a riconciliarci con quell'amore senza confini che passa da una morte ignobile e giunge alla risurrezione passa necessariamente dall'ascolto del grido dell'uomo migrante, che chiede solo di ritornare a far parte di quel Creato che tutti noi stiamo contribuendo ad imbruttire.
E cresceremo nella fiducia nell'amore di Dio solo se riusciremo a condividerlo quell'amore, scevri da quelle ideologie politiche che ci allontanano dalla bellezza di essere un cuor solo in una sola Chiesa, in un mondo che è di tutti.
Lasciamoci coinvolgere dalla bellezza delle diversità, dall'armonia che ogni cultura ha in sé solo per poterla condividere, per promuovere una vera civiltà dell'amore.
Se realmente vogliamo rallentare e finalmente fermare il degrado che spinge moltitudini di persone a cercare nuove strade per poter ritornare a vivere con dignità, dobbiamo imparare, o meglio riscoprire il termine "collaborare". Collaborare a rendere noi stessi degni di chiamarci uomini e donne che sanno come ritornare a partecipare alla costruzione del Regno di Dio già ora, qui, mentre facciamo i conti con le nostre paure ancestrali che ci vedono combattere ad armi impari contro un nemico molto più infido dello stesso covid 19: la durezza del cuore!».
«Suona strano, in questo lunghissimo periodo di precarietà che viviamo, dover parlare di cambiamenti climatici, carestie, inondazioni che mettono in ginocchio intere popolazioni in svariate parti del nostro meraviglioso pianeta, quando il nostro unico pensiero è la pandemia legata al covid 19.
Eppure, per riflettere sui motivi della mobilità umana, il santo Padre ha voluto ricordare, nel suo messaggio per la 106ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, l'importanza che il degrado e il deteriorarsi degli equilibri naturali riveste nella mobilità di intere etnie all'interno degli stessi Paesi di appartenenza o, al più, entro i confini degli stessi continenti.
La storia della dinastia davidica inizia proprio con una migrazione per carestia, quando Noemi e suo marito Elimèlech lasciano Betlemme per divenire migranti nella terra dei moabiti.
Se l'atteggiamento dei moabiti fosse stato sulla falsariga di quello che noi abbiamo verso i migranti…forse sarebbe stata un'altra storia.
La sola Africa, con poco più di un miliardo di abitanti, ha al suo interno oltre 21 milioni di persone che migrano nello stesso continente a causa di siccità o calamità naturali, che rendono la loro stessa sopravvivenza molto problematica.
Ci siamo ritrovati a voler arginare un flusso di migranti provenienti dal nord Africa, sentendoci "invasi" da chissà quali portatori di covid 19, vivendo per altro, le stesse fragilità che accompagnano i migranti provenienti da ogni luogo del pianeta, ignorando la stragrande schiera di profughi in marcia dinanzi ad inondazioni, pestilenze.
Ma, riprendendo l'esortazione del santo Padre nel suo messaggio, occorre fare un piccolo passo verso la conoscenza di coloro che fanno parte della mobilità umana; conoscere per comprendere le dinamiche che spingono persone ad intraprendere cammini che somigliano troppo all'esodo compiuto dalla famiglia di Nazareth, in fuga dal pericolo di una persecuzione nella sua terra.
È oltremodo importante, in questo nuovo modo di vivere la precarietà nata dalla pandemia, farsi prossimo di coloro che, oltre a dover fare i conti con carestie, alluvioni, cambiamenti del clima, persecuzioni razziali, devono anche trovare la forza per poter ricominciare a vivere in una parvenza di dignità. E il nostro servire potrà rendere meno doloroso il distacco da quei beni che ogni uomo crea attraverso le relazioni e che, necessariamente, deve interrompere nel suo migrare.
Lo scorso 10 aprile, venerdì di Passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, tutti ci siamo ritrovati in quel silenzio assurdo, vissuto in piazza san Pietro; in quel silenzio siamo stati invitati ad ascoltare le uniche voci che si alzavano, voci di tutti i poveri, i migranti del pianeta che incarnavano il Servo Sofferente e Offerente sulla Croce. La strada che porta a riconciliarci con quell'amore senza confini che passa da una morte ignobile e giunge alla risurrezione passa necessariamente dall'ascolto del grido dell'uomo migrante, che chiede solo di ritornare a far parte di quel Creato che tutti noi stiamo contribuendo ad imbruttire.
E cresceremo nella fiducia nell'amore di Dio solo se riusciremo a condividerlo quell'amore, scevri da quelle ideologie politiche che ci allontanano dalla bellezza di essere un cuor solo in una sola Chiesa, in un mondo che è di tutti.
Lasciamoci coinvolgere dalla bellezza delle diversità, dall'armonia che ogni cultura ha in sé solo per poterla condividere, per promuovere una vera civiltà dell'amore.
Se realmente vogliamo rallentare e finalmente fermare il degrado che spinge moltitudini di persone a cercare nuove strade per poter ritornare a vivere con dignità, dobbiamo imparare, o meglio riscoprire il termine "collaborare". Collaborare a rendere noi stessi degni di chiamarci uomini e donne che sanno come ritornare a partecipare alla costruzione del Regno di Dio già ora, qui, mentre facciamo i conti con le nostre paure ancestrali che ci vedono combattere ad armi impari contro un nemico molto più infido dello stesso covid 19: la durezza del cuore!».