Trekking Archeoclub
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Territorio

Con Archeoclub alla scoperta della storia culturale e paesaggistica della nostra Murgia

Grande partecipazione per il trekking in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio

Il trekking organizzato da Archeoclub d'Italia "Padre Emilio D'Angelo", Sede di Corato in collaborazione con l'associazione "Oltre le radici" si è rivelato un vero e proprio percorso immersivo nella storia culturale e paesaggistica della nostra Murgia.

Inserito tra gli eventi delle Giornate Europee del Patrimonio, domenica 26 settembre, ha richiamato l'attenzione di circa 40 partecipanti, eterogenei per età e professione, provenienti non solo dal circondario ma anche da diversi paesi del nord barese e persino da Brindisi.

Un itinerario reso possibile dalla squisita accoglienza della famiglia Patruno, che ha spalancato le porte della propria masseria, di cui sono proprietari da oltre un secolo, e dalle sapienti esposizioni di Giuseppe Carlucci, guida del Parco Nazionale Alta Murgia e della giornalista Marina Labartino, socia di Oltre le Radici.

Situata a circa 600 metri slm, nei pressi dell'antico Tratturello Corato Fontanadogna, lungo il quale si spostavano le greggi durante la transumanza dagli Abruzzi alla Puglia e viceversa, già nel nome "Posta D'Annaia" si intuisce l'uso ben preciso del luogo.

Il viaggio della transumanza, infatti, durava molti giorni e ciclicamente si effettuavano soste in luoghi prestabiliti. Presso questa masseria, potevano riposare al sicuro non soltanto i pastori, ma anche le greggi, come dimostra l'antico jazzo, dotato di mungitoio e mandri per il ricovero degli armenti durante la notte.

Ai tempi del trasporto a trazione animale, oltre a questa funzione, la masseria fungeva da Posta Cavalli, garantendone il ricambio, grazie alle scuderie presso cui venivano ospitati.

La masseria dunque rappresentava una sosta indispensabile per chi andava o tornava dai paesi interni della Murgia e della Basilicata. La poderosa struttura, tutta in pietre a secco e risalente al 1600, è stata ampliata nel corso dei secoli.

La torretta con feritoie difensive presenti sulla facciata principale, la include tra i rari esempi di masseria fortificata, priva di interventi edilizi che ne abbiano potuto aver stravolto la struttura originaria. L'ultima ristrutturazione risale ai primi anni del 1800.

È costituita da otto locali, tra cui svetta un enorme trullo, in origine alto sei metri, risalente al 17mo secolo. Purtroppo il peso notevole ne stava pregiudicando la stabilità per cui la volta fu troncata, perdendo l'aspetto conico.

È nota anche come "masseria dei tre camini" per la presenza di altrettanti e possenti camini in pietra, di notevole valore storico, veri e propri esempi di archeologia architettonica. Attualmente risulta agibile solo quello che troneggia nell'ultimo ambiente, dopo il quale si accede all'azienda agrozootecnica.

Intorno al focolare, fino agli anni '80 del secolo scorso, operai e proprietari si riunivano al tramonto per scaldarsi, pregare e tramandare esperienze di vita vissuta, favole e leggende, durante le fredde sere d'autunno e d'inverno.

Il camino non era soltanto l'unica fonte di riscaldamento (nelle altre stanze si usava il braciere), veniva pure usato per cucinare, ponendovi sopra griglie e caldaie in rame per le pietanze, ma soprattutto per tenere sempre calda l'acqua necessaria a detergersi dopo il lavoro.

La masseria è arricchita da una Chiesetta risalente al 1853, dedicata a San Francesco di Paola. In fase di acquisto il vecchio proprietario impose ai Patruno di prendersi cura sia della struttura che del culto. Promessa onorata ancora oggi dai membri della famiglia. Nel tempo ha subito diversi furti e atti di vandalismo: bombardata durante la prima guerra mondiale, fu restaurata nel 1932. L'ultimo intervento risale al 2000 in occasione della celebrazione dell'anniversario di nozze dei coniugi Vitina Scaringella e Pasquale Patruno.

"In tale circostanza – spiega il proprietario – abbiamo scoperto che al di sotto del piano di calpestio, si cela una storica nevaia. Insieme alla Chiesa di San Magno, la nostra rappresentava un importante punto di incontro per i molti fedeli che popolavano la Murgia e che qui si riunivano ogni domenica per assistere alle celebrazioni liturgiche".

Affascinante l'episodio di cui fu protagonista Pasqualino Patruno, bisnonno dell'attuale proprietario, legato al fenomeno del brigantaggio post unitario. Correva l'anno 1863, il Regno d'Italia era nato appena due anni prima, ma già il braccio armato dello scontento meridionale faceva incursioni presso le masserie, alla ricerca di danaro, cibo, sigari, cavalli freschi e rifugio per la notte.

Pasqualino aveva appena 18 anni, quando, durante i lavori di sarchiatura nei campi, fu preso in ostaggio dai briganti che, provenienti dalle terre selvagge della Lucania, non trovando di che fare razzia, rapirono e portarono con loro Pasquale insieme ad altri due giovani figli di latifondisti coratini: Cataldo De Benedittis e Giuseppe Nicola Fiore. Braccati dalle milizie piemontesi, nel conflitto a fuoco intercorso tra entrambe le parti, persero la vita tre briganti, tre soldati e i coratini De Benedittis e Fiore. Pasqualino riportò una profonda ferita di sciabola al capo. Scambiato all'inizio per brigante dai soldati, che lo volevano trucidare, Pasqualino fu scagionato dalla testimonianza di uno di loro, il coratino Giacinto De Benedittis, che conosceva bene la famiglia Patruno.

Ciò nonostante Pasqualino fu tradotto nel carcere di Altamura, dove gli venne medicata la ferita e da qui prelevato il giorno dopo dal padre Michele (a cui era giunta una lettera che spiegava la situazione) e dai suoi due fratelli Luigi e Beniamino. Il rientro in paese di Pasqualino si trasformò in una festa di popolo, che già ne piangeva la sua presunta morte.

Il fatto di cronaca è stato raccontato, con grande patos, dallo stesso Pasqualino Patruno nelle pagine di un diario da lui vergato a mano, ritrovato per caso, insieme ad altri documenti e appunti contabili, dall'omonimo nipote Pasquale e dalla moglie.

Se la storia è affascinante, altrettanto lo è stato il percorso naturalistico attraverso il quale Giuseppe Carlucci ha condotto gli attenti ospiti, illustrando le proprietà delle numerose piante spontanee del parco e mettendo in guardia da quelle con effetti tossici, se non proprio letali.

Decisamente spettacolare l'impatto con "ù sebbìende" (capovento), inghiottitoio carsico ancora attivo, dal diametro di oltre dieci metri e profondo una quindicina, che spicca per il suo colore rossastro dovuto all' insolita presenza nel terreno di bauxite, roccia sedimentaria che costituisce la principale fonte per la produzione dell'alluminio.

L'omaggio della rivista edita a giugno scorso dall'associazione Oltre le Radici dal tema "A passo lento", ha rappresentato l'epilogo apprezzatissimo da ogni partecipante.
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