Verso l'essenziale: a Trani sette diaconi sono stati ordinati presbiteri
Sabato 12 ottobre la solenne concelebrazione presieduta dall'arcivescovo
lunedì 14 ottobre 2024
10.10
La prima lettura di questa domenica, tratta dal libro della Sapienza, ci invita a riflettere sul rischio di puntare nella nostra vita su obiettivi modesti, accontentandoci di racimolare un po' di sabbia e fango, come se fossero un grande bottino, rinunciando così alla vera ricchezza che passa attraverso l'accoglienza di Dio e dei suoi doni.
Come ci esorta l'autore della lettera agli Ebrei, lasciamo che la Parola, viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio penetri nel più profondo del nostro intimo e, sapendo che i nostri sentimenti e pensieri del cuore non sono nascosti a Dio, perché tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi, con la consapevolezza delle nostre fragilità e piccolezze, chiediamo nella preghiera che ci venga elargita la prudenza e imploriamo lo spirito di sapienza. Il Signore ci aiuti a preferirla a scettri e troni, al potere e al comando da esercitare sugli altri, con l'erronea convinzione che siano a nostro servizio; a preferirla ad ogni genere di ricchezza, a tutto ciò che riteniamo nostro, o che facciamo nostro per affermare noi stessi, per metterci in mostra, per apparire all'esterno quello che non siamo all'interno. Tutto l'oro del mondo nei confronti di questa sapienza è come un po' di sabbia, mentre l'argento come fango.
Vorrei che tutti accogliessimo seriamente l'invito che Gesù, nel vangelo di oggi, rivolge a quel tale che in ginocchio gli chiedeva cosa avrebbe dovuto fare per avere in eredità la vita eterna. Quello che Gesù dice, concludendo la sua risposta, non può lasciarci indifferenti: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!".
Questo invito ci fa riflettere sul fatto che per seguire Gesù, per non accontentarci di un po' di sabbia e fango, come singole persone, come comunità oppure come categorie vocazionali (laici, consacrati, ordinati) facciamo tante cose e magari riusciamo, come il personaggio del vangelo, ad osservare i comandamenti richiamati da Gesù (non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre). Tutto ciò è necessario ma non è sufficiente, non basta. Onestamente dobbiamo interrogarci se ci manchi ancora una cosa: vendere quello che abbiamo e darlo ai poveri.
C'è da vendere, impegnare, commerciare i nostri talenti, le nostre ricchezze intellettive, affettive, materiali, spirituali e tutto il guadagno donarlo ai poveri. È la scelta da parte di ogni discepolo di Gesù, di chi non si mette al centro della sua vita in una continua ricerca di arricchimenti personali, di legami interessati a persone da piegare ai propri bisogni, di attaccamenti a beni materiali che ci si procura per colmare vuoti di verità e di essenzialità nella propria vita; di ricerca di ciò che ci da modo di apparire, di risultare importanti, di esercitare dominio.
Come discepoli siamo inviati dal Signore con queste parole: Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali (Lc 10, 3-4). Come agnelli in mezzo a lupi. Non come lupi in mezzo agli agnelli, saremmo dei divoratori di altri. E nemmeno come lupi in mezzo a lupi, saremmo sempre in lotta, in uno scontro che non finirebbe mai. Agnelli che non mordono, mansueti sull'esempio di Gesù. Inoltre, non dobbiamo portare niente, questo perché le persone ci accolgano non per le cose che abbiamo o per quello che possiamo apparire all'esterno con borsa, sacca o sandali ma per quello che siamo come persone e per quello che siamo stati chiamati ad annunciare.
Ora mi rivolgo direttamente a voi, carissimi Silvio, Giuseppe, Michele, Michele, Leonardo, Francesco e Salvatore. Ve l'ho detto diverse volte in questi anni, ribadendolo anche nell'ultimo incontro che abbiamo avuto al termine della settimana di fraternità e di formazione, spero che non dimentichiate e non sia vano ciò che avete ascoltato: la povertà è condizione irrinunciabile perché noi presbiteri possiamo vivere da persone libere nella verità e nella gioia, possiamo vivere con slancio l'obbedienza, possiamo vivere con generosità e gratuità, nel celibato per il regno dei cieli, il dono del nostro amore ad ogni persona. Diversamente saremmo persone che recitano l'osservanza di ciò che promettono davanti alla Chiesa il giorno dell'ordinazione e perciò tristi, scuri in volto e centrati su noi stessi come il personaggio del vangelo.
Non dimenticate mai quello che l'autore della lettera agli Ebrei ci ricorda nel capitolo successivo a quello che oggi la liturgia ci ha proposto: ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza (5,1-3). Questa è la nostra veste, quella della debolezza, e non possiamo permetterci di diventare ridicoli mascherandola con altre vesti. Siamo scelti e costituiti sacerdoti per gli uomini nelle cose che riguardano Dio. Per costituzione siamo servi. La nostra umanità sarà portata a maturazione tanto più saremo servi. Viceversa, saremo immaturi. Sentiamoci chiamati ad un continuo esercizio di servizio, per essere maturi, verso le persone che il Signore ci fa incontrare e verso i fratelli, tutti i fratelli del presbiterio nel quale siamo inseriti.
Desidero concludere con un pensiero di Charles De Foucauld: "Nostro Signore, visse poveramente, lavorando, digiunando, sconosciuto e disprezzato, come l'ultimo degli operai, passò giorni e notti in solitudine nel deserto. Io amo Nostro Signore Gesù Cristo, anche se con un cuore che vorrebbe amarlo di più e meglio, comunque lo amo e non posso sopportare di condurre una vita diversa dalla sua, una vita senza scosse, onorata, mentre la sua fu la vita più dura e disprezzata che sia mai esistita. Non posso attraversare la vita in prima classe, mentre colui che amo la attraversò in ultima classe (24 aprile 1890).
Non accontentatevi mai per la vostra vita di racimolare un po' di sabbia e fango, come se fossero un grande bottino, rinunciando così alla vera ricchezza che passa attraverso l'accoglienza di Dio e dei suoi doni.
La preghiera di tutti noi è per questi fratelli che tra poco saranno ordinati presbiteri. Il Signore faccia loro il dono della semplicità e dell'essenzialità, della capacità di non avere nulla per sé perché lo doneranno ai poveri. Sono caratteristiche di vita che non possono mancare quando si decide di donarsi totalmente al servizio del vangelo convinti che chi lascia tutto per seguire Gesù è felice, pieno di vita e di gioia, perché riceve in questo tempo cento volte tanto, certo insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
Come ci esorta l'autore della lettera agli Ebrei, lasciamo che la Parola, viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio penetri nel più profondo del nostro intimo e, sapendo che i nostri sentimenti e pensieri del cuore non sono nascosti a Dio, perché tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi, con la consapevolezza delle nostre fragilità e piccolezze, chiediamo nella preghiera che ci venga elargita la prudenza e imploriamo lo spirito di sapienza. Il Signore ci aiuti a preferirla a scettri e troni, al potere e al comando da esercitare sugli altri, con l'erronea convinzione che siano a nostro servizio; a preferirla ad ogni genere di ricchezza, a tutto ciò che riteniamo nostro, o che facciamo nostro per affermare noi stessi, per metterci in mostra, per apparire all'esterno quello che non siamo all'interno. Tutto l'oro del mondo nei confronti di questa sapienza è come un po' di sabbia, mentre l'argento come fango.
Vorrei che tutti accogliessimo seriamente l'invito che Gesù, nel vangelo di oggi, rivolge a quel tale che in ginocchio gli chiedeva cosa avrebbe dovuto fare per avere in eredità la vita eterna. Quello che Gesù dice, concludendo la sua risposta, non può lasciarci indifferenti: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!".
Questo invito ci fa riflettere sul fatto che per seguire Gesù, per non accontentarci di un po' di sabbia e fango, come singole persone, come comunità oppure come categorie vocazionali (laici, consacrati, ordinati) facciamo tante cose e magari riusciamo, come il personaggio del vangelo, ad osservare i comandamenti richiamati da Gesù (non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre). Tutto ciò è necessario ma non è sufficiente, non basta. Onestamente dobbiamo interrogarci se ci manchi ancora una cosa: vendere quello che abbiamo e darlo ai poveri.
C'è da vendere, impegnare, commerciare i nostri talenti, le nostre ricchezze intellettive, affettive, materiali, spirituali e tutto il guadagno donarlo ai poveri. È la scelta da parte di ogni discepolo di Gesù, di chi non si mette al centro della sua vita in una continua ricerca di arricchimenti personali, di legami interessati a persone da piegare ai propri bisogni, di attaccamenti a beni materiali che ci si procura per colmare vuoti di verità e di essenzialità nella propria vita; di ricerca di ciò che ci da modo di apparire, di risultare importanti, di esercitare dominio.
Come discepoli siamo inviati dal Signore con queste parole: Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali (Lc 10, 3-4). Come agnelli in mezzo a lupi. Non come lupi in mezzo agli agnelli, saremmo dei divoratori di altri. E nemmeno come lupi in mezzo a lupi, saremmo sempre in lotta, in uno scontro che non finirebbe mai. Agnelli che non mordono, mansueti sull'esempio di Gesù. Inoltre, non dobbiamo portare niente, questo perché le persone ci accolgano non per le cose che abbiamo o per quello che possiamo apparire all'esterno con borsa, sacca o sandali ma per quello che siamo come persone e per quello che siamo stati chiamati ad annunciare.
Ora mi rivolgo direttamente a voi, carissimi Silvio, Giuseppe, Michele, Michele, Leonardo, Francesco e Salvatore. Ve l'ho detto diverse volte in questi anni, ribadendolo anche nell'ultimo incontro che abbiamo avuto al termine della settimana di fraternità e di formazione, spero che non dimentichiate e non sia vano ciò che avete ascoltato: la povertà è condizione irrinunciabile perché noi presbiteri possiamo vivere da persone libere nella verità e nella gioia, possiamo vivere con slancio l'obbedienza, possiamo vivere con generosità e gratuità, nel celibato per il regno dei cieli, il dono del nostro amore ad ogni persona. Diversamente saremmo persone che recitano l'osservanza di ciò che promettono davanti alla Chiesa il giorno dell'ordinazione e perciò tristi, scuri in volto e centrati su noi stessi come il personaggio del vangelo.
Non dimenticate mai quello che l'autore della lettera agli Ebrei ci ricorda nel capitolo successivo a quello che oggi la liturgia ci ha proposto: ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza (5,1-3). Questa è la nostra veste, quella della debolezza, e non possiamo permetterci di diventare ridicoli mascherandola con altre vesti. Siamo scelti e costituiti sacerdoti per gli uomini nelle cose che riguardano Dio. Per costituzione siamo servi. La nostra umanità sarà portata a maturazione tanto più saremo servi. Viceversa, saremo immaturi. Sentiamoci chiamati ad un continuo esercizio di servizio, per essere maturi, verso le persone che il Signore ci fa incontrare e verso i fratelli, tutti i fratelli del presbiterio nel quale siamo inseriti.
Desidero concludere con un pensiero di Charles De Foucauld: "Nostro Signore, visse poveramente, lavorando, digiunando, sconosciuto e disprezzato, come l'ultimo degli operai, passò giorni e notti in solitudine nel deserto. Io amo Nostro Signore Gesù Cristo, anche se con un cuore che vorrebbe amarlo di più e meglio, comunque lo amo e non posso sopportare di condurre una vita diversa dalla sua, una vita senza scosse, onorata, mentre la sua fu la vita più dura e disprezzata che sia mai esistita. Non posso attraversare la vita in prima classe, mentre colui che amo la attraversò in ultima classe (24 aprile 1890).
Non accontentatevi mai per la vostra vita di racimolare un po' di sabbia e fango, come se fossero un grande bottino, rinunciando così alla vera ricchezza che passa attraverso l'accoglienza di Dio e dei suoi doni.
La preghiera di tutti noi è per questi fratelli che tra poco saranno ordinati presbiteri. Il Signore faccia loro il dono della semplicità e dell'essenzialità, della capacità di non avere nulla per sé perché lo doneranno ai poveri. Sono caratteristiche di vita che non possono mancare quando si decide di donarsi totalmente al servizio del vangelo convinti che chi lascia tutto per seguire Gesù è felice, pieno di vita e di gioia, perché riceve in questo tempo cento volte tanto, certo insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.