Qualità e tipicità: elementi di competitività per la filiera dell'Olio EVO
Il focus del presidente nazionale Unapol Tommaso Loiodice
mercoledì 4 gennaio 2023
La campagna olivicola appena conclusasi è stata caratterizzata da una drastica riduzione dei quantitativi di olio prodotto.
La campagna ha fatto registrare un calo produttivo di circa il 60 % rispetto all'annualità 2021. A questo dato occorre aggiungere che anche cronologicamente il periodo di raccolta si è radicalmente stravolto.
Abbiamo chiesto a Tommaso Loiodice presidente Unapol nazionale e profondo conoscitore del comparto olivicolo locale e nazionale un parere sulla campagna olivicola 2022:
«È storicamente difficile, ricordare un'altra annualità nella quale nella prima decade di dicembre la maggior parte degli attori della filiera olivicola avessero terminato ogni tipo di attività legata alla raccolta e trasformazione del prodotto. E' pur vero che la campagna ha avuto inizio con un elevato anticipo rispetto ai tempi canonici del nostro territorio, quest'anno infatti nell'ultima decade di ottobre si iniziavano a vedere le prime "squadre" di lavoratori intenti a raccogliere il nostro oro verde per ritrovarsi nei primi di novembre già in piena campagna, ma il termine così anticipato è difficile ricordarlo».
Una campagna olivicola ridotta a scapito della qualità del prodotto?
«Quanto appena rilevato non desterebbe alcun timore se l'anticipo del periodo di raccolta fosse legato solo ed unicamente ad un processo di "produzione di qualita" il cui parametro è anche determinato dal giusto periodo di invaiatura delle olive. Infatti anticipare la raccolta rispetto ai canonici tempi (nel passato la raccolta delle olive entrava nel pieno solo dopo il giorno dei festeggiamenti dell'Immacolata) ha significato negli ultimi anni estrarre un olio sempre di maggiore qualità capace di far esplodere quel mix di profumi e sapori tipici della cultivar coratina e capace di far raccontare a quella spremuta naturale le tipicità del territorio in cui viene prodotto».
Nel 2022 invece si è dovuto anticipare notevolmente i tempi di raccolta per preservare sì la qualità ma principalmente dettato dal fatto che l'annata agraria è stata caratterizzata da un andamento climatico sempre più siccitoso a cui si è aggiunto il preoccupante attacco di mosca dell'olivo che ha rischiato di compromettere seriamente la qualità del prodotto.
«Le considerazioni appena espresse ci fanno comprendere quanto importante e qualificata sia divenuta la tecnica produttiva e di trasformazione dei nostri olivicoltori e frantoiani. I nostri olivicoltori hanno raggiunto un livello professionale che si traduce in metodologia di lavorazione e trasformazione di altissimo livello che riesce a preservare e garantire un prodotto di altissima qualità. Questa professionalità ha dovuto però fare i conti con i rincari spropositati dei prezzi della materia prima necessaria a garantire il prodotto e la salvaguardia del patrimonio olivicolo. Si è iniziati dai costi più che duplicati dei concimi nei primi mesi del 2022, per poi scontrarsi con il rincaro del costo dei carburanti e di quelli energetici che si sono dovuti sopportare per irrigare gli oliveti e per completare il processo di trasformazione in frantoio arrivando a sfiorare i 19/20 euro di molitura per quintale di oliva trasformata, per non parlare della ormai atavica difficoltà di reperimento di mano d'opera per la raccolta».
L'introduzione sul mercato nazionale di prodotto comunitario ed extracomunitario quali conseguenze porta all'economia dell'agricoltore locale?
«Il comparto olivicolo deve far fronte alla concorrenza degli oli provenienti dai paesi comunitari ed extracomunitari dove l'olivicoltore italiano paga lo scotto di una assenza totale di piani olivicoli nazionali che hanno sempre più depotenziato la capacità produttiva del paese Italia (cosa che non è accaduta nei paesi iberici) determinando costi produttivi più elevati rispetto agli altri stati, per non parlare dei bassissimi costi della manodopera e degli oneri sociali sostenuti nei paesi extracomunitari che immettono sul mercato quantitativi di olio extravergine a costi di produzione decisamente più bassi e a prezzi concorrenziali insostenibili. A questa considerazione si può rispondere solo continuando a difendere a denti stretti il concetto di qualità legato al made in Italy, e al patrimonio tutto italiano di biodiversità che rende ogni cultivar ed ogni olio prodotto ambasciatore di un particolare territorio; della sua storia, dei suoi sapori, dei suoi profumi, dei suoi valori socio culturali. In altri termini che lo rendono unico ed inimitabile».
In questo nuovo anno quali sono secondo lei le azioni di promozione che devono adottare le amministrazioni regionali e locali per generare economia di mercato?
«Tutto ciò deve però essere trasferito e fatto conoscere ai consumatori. Le amministrazioni, a qualsiasi livello e per le proprie competenze devono fare in modo che le aziende si dedichino solo ed unicamente ai processi produttivi sburocratizzando tutti quei passaggi che ne offuscano l'operatività e devono favorire processi di avvicinamento dei consumatori al prodotto.
Occorre educare i consumatori a saper riconoscere un olio di qualità, privo di difetti; far comprendere che il gusto dell'amaro e del piccante sono un pregio; che l'olio extravergine ha proprietà curative e aiuta a prevenire malattie cardiovascolari oltre che tumorali; che il suo acquisto non deve essere considerato un costo ma un investimento in termini salutistici e di sostenibilità socio ambientale; che và conservato in maniera appropriata. Come già detto l'extravergine di oliva deve essere considerato ambasciatore di una collettività e di un territorio e come tale deve essere portato fuori dalle mura domestiche con la partecipazione e la presenza ad eventi extrafrontalieri che ne raccontino i valori intrinsechi. Tutto ciò si può e si deve fare, superando i campanilismi e dando un senso compiuto all'intera filiera olivicola rendendola attrice e protagonista di un processo virtuoso che superi l'egoistico individualismo che purtroppo continua a primeggiare nel nostro Sud».
La campagna ha fatto registrare un calo produttivo di circa il 60 % rispetto all'annualità 2021. A questo dato occorre aggiungere che anche cronologicamente il periodo di raccolta si è radicalmente stravolto.
Abbiamo chiesto a Tommaso Loiodice presidente Unapol nazionale e profondo conoscitore del comparto olivicolo locale e nazionale un parere sulla campagna olivicola 2022:
«È storicamente difficile, ricordare un'altra annualità nella quale nella prima decade di dicembre la maggior parte degli attori della filiera olivicola avessero terminato ogni tipo di attività legata alla raccolta e trasformazione del prodotto. E' pur vero che la campagna ha avuto inizio con un elevato anticipo rispetto ai tempi canonici del nostro territorio, quest'anno infatti nell'ultima decade di ottobre si iniziavano a vedere le prime "squadre" di lavoratori intenti a raccogliere il nostro oro verde per ritrovarsi nei primi di novembre già in piena campagna, ma il termine così anticipato è difficile ricordarlo».
Una campagna olivicola ridotta a scapito della qualità del prodotto?
«Quanto appena rilevato non desterebbe alcun timore se l'anticipo del periodo di raccolta fosse legato solo ed unicamente ad un processo di "produzione di qualita" il cui parametro è anche determinato dal giusto periodo di invaiatura delle olive. Infatti anticipare la raccolta rispetto ai canonici tempi (nel passato la raccolta delle olive entrava nel pieno solo dopo il giorno dei festeggiamenti dell'Immacolata) ha significato negli ultimi anni estrarre un olio sempre di maggiore qualità capace di far esplodere quel mix di profumi e sapori tipici della cultivar coratina e capace di far raccontare a quella spremuta naturale le tipicità del territorio in cui viene prodotto».
Nel 2022 invece si è dovuto anticipare notevolmente i tempi di raccolta per preservare sì la qualità ma principalmente dettato dal fatto che l'annata agraria è stata caratterizzata da un andamento climatico sempre più siccitoso a cui si è aggiunto il preoccupante attacco di mosca dell'olivo che ha rischiato di compromettere seriamente la qualità del prodotto.
«Le considerazioni appena espresse ci fanno comprendere quanto importante e qualificata sia divenuta la tecnica produttiva e di trasformazione dei nostri olivicoltori e frantoiani. I nostri olivicoltori hanno raggiunto un livello professionale che si traduce in metodologia di lavorazione e trasformazione di altissimo livello che riesce a preservare e garantire un prodotto di altissima qualità. Questa professionalità ha dovuto però fare i conti con i rincari spropositati dei prezzi della materia prima necessaria a garantire il prodotto e la salvaguardia del patrimonio olivicolo. Si è iniziati dai costi più che duplicati dei concimi nei primi mesi del 2022, per poi scontrarsi con il rincaro del costo dei carburanti e di quelli energetici che si sono dovuti sopportare per irrigare gli oliveti e per completare il processo di trasformazione in frantoio arrivando a sfiorare i 19/20 euro di molitura per quintale di oliva trasformata, per non parlare della ormai atavica difficoltà di reperimento di mano d'opera per la raccolta».
L'introduzione sul mercato nazionale di prodotto comunitario ed extracomunitario quali conseguenze porta all'economia dell'agricoltore locale?
«Il comparto olivicolo deve far fronte alla concorrenza degli oli provenienti dai paesi comunitari ed extracomunitari dove l'olivicoltore italiano paga lo scotto di una assenza totale di piani olivicoli nazionali che hanno sempre più depotenziato la capacità produttiva del paese Italia (cosa che non è accaduta nei paesi iberici) determinando costi produttivi più elevati rispetto agli altri stati, per non parlare dei bassissimi costi della manodopera e degli oneri sociali sostenuti nei paesi extracomunitari che immettono sul mercato quantitativi di olio extravergine a costi di produzione decisamente più bassi e a prezzi concorrenziali insostenibili. A questa considerazione si può rispondere solo continuando a difendere a denti stretti il concetto di qualità legato al made in Italy, e al patrimonio tutto italiano di biodiversità che rende ogni cultivar ed ogni olio prodotto ambasciatore di un particolare territorio; della sua storia, dei suoi sapori, dei suoi profumi, dei suoi valori socio culturali. In altri termini che lo rendono unico ed inimitabile».
In questo nuovo anno quali sono secondo lei le azioni di promozione che devono adottare le amministrazioni regionali e locali per generare economia di mercato?
«Tutto ciò deve però essere trasferito e fatto conoscere ai consumatori. Le amministrazioni, a qualsiasi livello e per le proprie competenze devono fare in modo che le aziende si dedichino solo ed unicamente ai processi produttivi sburocratizzando tutti quei passaggi che ne offuscano l'operatività e devono favorire processi di avvicinamento dei consumatori al prodotto.
Occorre educare i consumatori a saper riconoscere un olio di qualità, privo di difetti; far comprendere che il gusto dell'amaro e del piccante sono un pregio; che l'olio extravergine ha proprietà curative e aiuta a prevenire malattie cardiovascolari oltre che tumorali; che il suo acquisto non deve essere considerato un costo ma un investimento in termini salutistici e di sostenibilità socio ambientale; che và conservato in maniera appropriata. Come già detto l'extravergine di oliva deve essere considerato ambasciatore di una collettività e di un territorio e come tale deve essere portato fuori dalle mura domestiche con la partecipazione e la presenza ad eventi extrafrontalieri che ne raccontino i valori intrinsechi. Tutto ciò si può e si deve fare, superando i campanilismi e dando un senso compiuto all'intera filiera olivicola rendendola attrice e protagonista di un processo virtuoso che superi l'egoistico individualismo che purtroppo continua a primeggiare nel nostro Sud».