Oggi come due anni fa, nel ricordo delle 23 vittime del disastro ferroviario
Il tragico schianto che ha cambiato per sempre la nostra città
giovedì 12 luglio 2018
10.16
È sempre dura ricordare ogni passaggio di quel tragico 12 luglio 2016; di quella mattina iniziata in maniera strana, con il telefono già incandescente dal sorgere del sole.
È però un dovere tenere alta la memoria di quel giorno, a costo di ripetersi, a costo di rischiare di risultare banali. Perché non è l'esercizio di stile ciò che oggi ci interessa, né tanto meno il narcisismo retorico, quello che sedusse molti cronisti e pontefici da poltrona due anni fa.
È un dovere al quale ci richiamano spesso i familiari delle vittime di quel disastro, i lavoratori che quotidianamente mettono in moto i treni su quei binari, i viaggiatori che vedono in quei treni uno strumento di libertà. Perché su quei treni, ricordiamolo, poteva esserci chiunque.
Vittime senza colpe, siano essi passeggeri o lavoratori. Di quella grande tragedia ancora non ci sono colpevoli. La magistratura sta seguendo il suo corso e forse riuscirà a dirci chi ha sbagliato. Ma certamente la giustizia non riuscirà a lenire il dolore sempre vivo di una intera comunità che si ritrova a pensare a quel dramma ogni volta che vede un binario.
Il sacrificio di 23 persone è servito? Forse sì. È servito a capire che sui binari di tutta Italia c'era bisogno di maggiore sicurezza; che le infrastrutture ferroviarie non soltanto della Bari - Nord avevano bisogno di essere più sicure, di essere adeguate. Il sacrificio di 23 persone, forse, ha risparmiato la vita di altre persone, chissà in quale parte d'Italia.
Oggi però non si riesce ad evitare di pensare a quella normalissima giornata. A quei volti sorridenti che avevano salutato i familiari prima di andare a lavoro o a scuola. A quelle strette di mano e a quei "ci vediamo" che non hanno più avuto seguito.
Per me cronista è impossibile non pensare a quel frinire di cicale, a quel caldo e a quel silenzio al quale, chi era sul luogo della tragedia, si affidava per poter sentire segnali di eventuali superstiti. È impossibile non ritrovarsi la mente intasata dalle immagini di quel groviglio di lamiere, di quei soccorritori instancabili, di chi, nel suo piccolo si adoperò per gli altri, persino per noi giornalisti accorsi sul posto.
Io, cronista, ripercorro con la mente ogni attimo di quel giorno, ormai divenuto indelebile. Ripercorro anche tutte le occasioni nelle quali i parenti delle vittime ci hanno chiesto di non lasciare mai che si spegnessero i riflettori su questa tragedia, perché non avesse più a ripetersi in qualsiasi parte del mondo. Oggi penso a quelle strette di mano coi genitori di Francesco Ludovico Tedone e Luciano Caterino, impegno forte a che la memoria dei propri figli, deceduti in quel tragico schianto, non venisse mai meno.
Due giovani con due storie diverse. L'uno viaggiatore, l'altro conducente del treno. Entrambi però accomunati dall'enorme slancio verso la vita.
È però un dovere tenere alta la memoria di quel giorno, a costo di ripetersi, a costo di rischiare di risultare banali. Perché non è l'esercizio di stile ciò che oggi ci interessa, né tanto meno il narcisismo retorico, quello che sedusse molti cronisti e pontefici da poltrona due anni fa.
È un dovere al quale ci richiamano spesso i familiari delle vittime di quel disastro, i lavoratori che quotidianamente mettono in moto i treni su quei binari, i viaggiatori che vedono in quei treni uno strumento di libertà. Perché su quei treni, ricordiamolo, poteva esserci chiunque.
Vittime senza colpe, siano essi passeggeri o lavoratori. Di quella grande tragedia ancora non ci sono colpevoli. La magistratura sta seguendo il suo corso e forse riuscirà a dirci chi ha sbagliato. Ma certamente la giustizia non riuscirà a lenire il dolore sempre vivo di una intera comunità che si ritrova a pensare a quel dramma ogni volta che vede un binario.
Il sacrificio di 23 persone è servito? Forse sì. È servito a capire che sui binari di tutta Italia c'era bisogno di maggiore sicurezza; che le infrastrutture ferroviarie non soltanto della Bari - Nord avevano bisogno di essere più sicure, di essere adeguate. Il sacrificio di 23 persone, forse, ha risparmiato la vita di altre persone, chissà in quale parte d'Italia.
Oggi però non si riesce ad evitare di pensare a quella normalissima giornata. A quei volti sorridenti che avevano salutato i familiari prima di andare a lavoro o a scuola. A quelle strette di mano e a quei "ci vediamo" che non hanno più avuto seguito.
Per me cronista è impossibile non pensare a quel frinire di cicale, a quel caldo e a quel silenzio al quale, chi era sul luogo della tragedia, si affidava per poter sentire segnali di eventuali superstiti. È impossibile non ritrovarsi la mente intasata dalle immagini di quel groviglio di lamiere, di quei soccorritori instancabili, di chi, nel suo piccolo si adoperò per gli altri, persino per noi giornalisti accorsi sul posto.
Io, cronista, ripercorro con la mente ogni attimo di quel giorno, ormai divenuto indelebile. Ripercorro anche tutte le occasioni nelle quali i parenti delle vittime ci hanno chiesto di non lasciare mai che si spegnessero i riflettori su questa tragedia, perché non avesse più a ripetersi in qualsiasi parte del mondo. Oggi penso a quelle strette di mano coi genitori di Francesco Ludovico Tedone e Luciano Caterino, impegno forte a che la memoria dei propri figli, deceduti in quel tragico schianto, non venisse mai meno.
Due giovani con due storie diverse. L'uno viaggiatore, l'altro conducente del treno. Entrambi però accomunati dall'enorme slancio verso la vita.