Morì rifiutando il sangue, il marito: «Riaprite le indagini sulla morte di Maria»
Per il gip il caso è archiviato ma Salvatore Cialdella non si rassegna
venerdì 15 novembre 2019
6.05
Per il giudice per le indagini preliminari di Trani Rossella Volpe non ci sono elementi per ritenere che la morte di Maria Gentile, la donna di 62 anni di Corato deceduta nel marzo del 2015 dopo aver rifiutato di curarsi con una trasfusione di sangue, in quanto in contrasto con i dettami della comunità dei Testimoni di Geova a cui aderiva, possa essere conseguenza di pressioni o istigazioni.
Si chiude con una archiviazione, dopo tre anni di indagini, un caso giudiziario che ha visto Salvatore Cialdella, marito della defunta, lottare con tutte le sue forze per dimostrare che sua moglie avrebbe voluto salvarsi. Salvatore non demorde e, nonostante la chiara sentenza di archiviazione, ha scritto al Procuratore Capo di Trani Antonino Di Maio chiedendo la riapertura del caso. Era stato lui, pochi giorni dopo la morte della donna con la quale era sposato da oltre 35 anni e dalla quale ha avuto due figli, a denunciare l'amministratore di sostegno, nonché sorella gemella della defunta, e la congregazione dei Testimoni di Geova, per istigazione al suicidio.
Tra gli atti forniti dagli avvocati Dario Lafasciano e Nico Regina, legali della famiglia Cialdella, una serie di certificati che evidenziavano una situazione psicologica instabile della donna nel momento in cui il suo quadro clinico andava compromettendosi sino a rendere necessaria una trasfusione per un trapianto di fegato. Trasfusione che la donna avrebbe rifiutato in quanto contraria alla sua fede religiosa.
«Mia moglie non voleva morire, non aveva scelto di morire» continua a ribadire Salvatore Cialdella. «Perché avrebbe accettato di sottoporsi a visite in diverse parti d'Italia e dai migliori medici della Puglia se non avesse desiderato vivere?» continua il marito della donna.
Nella missiva di tre pagine, indirizzata al procuratore capo, Cialdella invita ad una ulteriore disamina delle perizie psichiatriche e di alcuni documenti sui quali sarebbero state apposte firme che egli non ritiene autentiche.
«Soprattutto nell'ultimo periodo mia moglie mi aveva manifestato la volontà di sottoporsi a cure a tutti i costi» rivela Cialdella rimasto spettatore inerme della fine di sua moglie. Sin dal 2010, infatti, la donna si era scelta quale amministratore di sostegno il responsabile dei Testimoni di Geova di Corato e nel 2014 aveva scelto la sua sorella gemella, sempre appartenente alla congregazione. Il marito e i figli, pertanto, non avrebbero avuto alcuna voce in capitolo nelle decisioni relative alle cure della propria congiunta.
«Ho fiducia nella giustizia e nell'importantissimo ruolo istituzionale della Procura, per questo ho ritenuto di esporre le mie perplessità e le mie considerazioni, auspicando la riapertura del caso. Se a mia moglie fosse stato consentito di curarsi, forse si sarebbe salvata» conclude Salvatore Cialdella.
Si chiude con una archiviazione, dopo tre anni di indagini, un caso giudiziario che ha visto Salvatore Cialdella, marito della defunta, lottare con tutte le sue forze per dimostrare che sua moglie avrebbe voluto salvarsi. Salvatore non demorde e, nonostante la chiara sentenza di archiviazione, ha scritto al Procuratore Capo di Trani Antonino Di Maio chiedendo la riapertura del caso. Era stato lui, pochi giorni dopo la morte della donna con la quale era sposato da oltre 35 anni e dalla quale ha avuto due figli, a denunciare l'amministratore di sostegno, nonché sorella gemella della defunta, e la congregazione dei Testimoni di Geova, per istigazione al suicidio.
Tra gli atti forniti dagli avvocati Dario Lafasciano e Nico Regina, legali della famiglia Cialdella, una serie di certificati che evidenziavano una situazione psicologica instabile della donna nel momento in cui il suo quadro clinico andava compromettendosi sino a rendere necessaria una trasfusione per un trapianto di fegato. Trasfusione che la donna avrebbe rifiutato in quanto contraria alla sua fede religiosa.
«Mia moglie non voleva morire, non aveva scelto di morire» continua a ribadire Salvatore Cialdella. «Perché avrebbe accettato di sottoporsi a visite in diverse parti d'Italia e dai migliori medici della Puglia se non avesse desiderato vivere?» continua il marito della donna.
Nella missiva di tre pagine, indirizzata al procuratore capo, Cialdella invita ad una ulteriore disamina delle perizie psichiatriche e di alcuni documenti sui quali sarebbero state apposte firme che egli non ritiene autentiche.
«Soprattutto nell'ultimo periodo mia moglie mi aveva manifestato la volontà di sottoporsi a cure a tutti i costi» rivela Cialdella rimasto spettatore inerme della fine di sua moglie. Sin dal 2010, infatti, la donna si era scelta quale amministratore di sostegno il responsabile dei Testimoni di Geova di Corato e nel 2014 aveva scelto la sua sorella gemella, sempre appartenente alla congregazione. Il marito e i figli, pertanto, non avrebbero avuto alcuna voce in capitolo nelle decisioni relative alle cure della propria congiunta.
«Ho fiducia nella giustizia e nell'importantissimo ruolo istituzionale della Procura, per questo ho ritenuto di esporre le mie perplessità e le mie considerazioni, auspicando la riapertura del caso. Se a mia moglie fosse stato consentito di curarsi, forse si sarebbe salvata» conclude Salvatore Cialdella.