Debutto per "Illo, ho, ho, my lord”, uno straordinario esempio di accoglienza e integrazione
Ieri in scena lo spettacolo ideato da Francesco Martinelli, che ha coinvolto allievi attori e rifugiati politici africani
domenica 1 luglio 2018
10.25
"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".
Calvino nel suo celebre romanzo "Le città invisibili" ci aveva visto giusto. Pare proprio un inferno quello in cui stiamo sprofondando, un inferno di odio, intolleranza, disprezzo in una società in cui il problema migranti sta scindendo in maniera sempre più netta l'opinione pubblica divisa tra chi invoca accoglienza e chi nascondendosi dietro il velo sempre più inconsistente di tematiche di ordine pubblico e crisi economica sarebbe disposto a lavarsi le mani, chiudendo le porte ai tanti fratelli che affidano al mare le loro ultime labili speranze di riscatto.
Ma chiudere le porte sa di vecchio, assomiglia vagamente a qualcosa che il nostro Paese in un passato non molto recente ha già provato sulla sua pelle. Questa retorica del "Prima gli italiani" ricorda (sta volta meno vagamente), qualcosa che è già accaduto, termini, frasi già pronunciate, parole che il nostro Paese per anni ha voluto lasciarsi alle spalle quasi a voler rimuovere uno scheletro nell'armadio, un passato del quale chiunque dovrebbe provare orrore. Ma oggi, l'eco di quelle parole rimbomba più forte che mai partendo dai banchi di Palazzo Chigi e diffondendosi nel resto del Paese come una fiumana inarrestabile, un fiume in piena difficilmente arginabile, un insieme di odio e intolleranza alimentato dalla falsa illusione che ricacciati i migranti in mare, il povero abbia più speranze di risollevarsi, il disoccupato trovi lavoro, il derubato sia oramai al sicuro, la ragazza stuprata non abbia più di che temere, il ricco si possa arricchire di più. Ma non è così.
Questo è solo l'inferno e noi ci siamo dentro. Molti facilmente vengono sedotti dalle sue facili soluzioni, fino a diventarne parte, ma la sfida in questo tempo è quella di resistere, di trovare un appiglio, un'ancora capace di tirarci fuori da questa melma, la sfida è riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
C'è chi questa sfida l'ha colta e ne è uscito vincitore. Stiamo parlando di Francesco Martinelli e il suo Teatro delle Molliche che in collaborazione con il Centro di Prima Accoglienza di Corato, ha inteso promuovere una splendida e originale iniziativa per sensibilizzare la comunità cittadina alla conoscenza dei richiedenti protezione internazionale. Avendo come obbiettivo l'integrazione sociale, il maestro Martinelli ha inteso sfruttare la magia del teatro per accogliere, conoscere e aiutare nel processo di integrazione i ragazzi richiedenti asilo del Centro di Prima Accoglienza presente nel nostro paese.
Dopo aver svolto un Laboratorio di Teatro durato cinque mesi e che ha visto la partecipazione di dodici allievi del Centro di Orientamento ed Educazione Teatrale e cinque richiedenti asilo politico, ieri è andato in scena "Illo, ho, ho, my lord" sul palco del Laboratorio Urbano Corato Open Space in Viale E. Fieramosca.
Si tratta di una rivisitazione dell'Amleto di Shakespeare, proprio quell'Amleto sospeso nei suoi pensieri, tra l'essere o non essere, parlare o tacere, agire o non agire, una condizione non molto distante da quella di chi costretto ad essere profugo si trova obbligato inevitabilmente ad affrontare quel dubbio amletico: andare o restare.
Ma essere o non essere è un problema che coinvolge anche chi si trova dall'altra parte, chi è indeciso sul da farsi, chi non sa come comportarsi di fronte ad un fenomeno sociale così importante e delicato qual è quello dell'emigrazione. Ed ecco che oggi quell'essere o non essere stando al passo con i tempi cambia forma e diviene: accogliere o non accogliere.
La risposta è semplice ed è lo stesso protagonista a darla, quell'Amleto che agisce e basta. Perché se c'è un tempo per ragionare e dibattere, attestarsi su una posizione o un'altra, c'è anche quello di passare all'azione, e dinanzi al flusso di esseri umani che chiedono asilo nella nostra terra per rimanere aggrappati a quell'ultima speranza di riscatto, di sopravvivenza , non si può rimanere indifferenti, non si possono voltare le spalle ad un fratello che soffre, perché siamo umani e se c'è ancora dell'etica in questa società allora non possiamo trascurare quella che è la vera essenza dell'uomo, essere con e per l'altro, relazionarsi.
Missione riuscita dunque per Francesco Martinelli che grazie al teatro è riuscito a dare spazio a dei ragazzi fantastici, mostrandoci un grosso esempio di umanità avanti e dietro le quinte perché proprio grazie al teatro sono nate relazioni interpersonali, rapporti autentici destinati a lasciare un segno indelebile nelle vite dei ragazzi dalle cui interpretazioni è emerso anche sul palco tutto quell'entusiasmo esploso poi dopo l'esibizione in un vulcano di gioia, sorrisi e abbracci che hanno coinvolto tutto il pubblico in piedi per una standing ovation dovuta e sincera.
Chapeau.
Calvino nel suo celebre romanzo "Le città invisibili" ci aveva visto giusto. Pare proprio un inferno quello in cui stiamo sprofondando, un inferno di odio, intolleranza, disprezzo in una società in cui il problema migranti sta scindendo in maniera sempre più netta l'opinione pubblica divisa tra chi invoca accoglienza e chi nascondendosi dietro il velo sempre più inconsistente di tematiche di ordine pubblico e crisi economica sarebbe disposto a lavarsi le mani, chiudendo le porte ai tanti fratelli che affidano al mare le loro ultime labili speranze di riscatto.
Ma chiudere le porte sa di vecchio, assomiglia vagamente a qualcosa che il nostro Paese in un passato non molto recente ha già provato sulla sua pelle. Questa retorica del "Prima gli italiani" ricorda (sta volta meno vagamente), qualcosa che è già accaduto, termini, frasi già pronunciate, parole che il nostro Paese per anni ha voluto lasciarsi alle spalle quasi a voler rimuovere uno scheletro nell'armadio, un passato del quale chiunque dovrebbe provare orrore. Ma oggi, l'eco di quelle parole rimbomba più forte che mai partendo dai banchi di Palazzo Chigi e diffondendosi nel resto del Paese come una fiumana inarrestabile, un fiume in piena difficilmente arginabile, un insieme di odio e intolleranza alimentato dalla falsa illusione che ricacciati i migranti in mare, il povero abbia più speranze di risollevarsi, il disoccupato trovi lavoro, il derubato sia oramai al sicuro, la ragazza stuprata non abbia più di che temere, il ricco si possa arricchire di più. Ma non è così.
Questo è solo l'inferno e noi ci siamo dentro. Molti facilmente vengono sedotti dalle sue facili soluzioni, fino a diventarne parte, ma la sfida in questo tempo è quella di resistere, di trovare un appiglio, un'ancora capace di tirarci fuori da questa melma, la sfida è riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
C'è chi questa sfida l'ha colta e ne è uscito vincitore. Stiamo parlando di Francesco Martinelli e il suo Teatro delle Molliche che in collaborazione con il Centro di Prima Accoglienza di Corato, ha inteso promuovere una splendida e originale iniziativa per sensibilizzare la comunità cittadina alla conoscenza dei richiedenti protezione internazionale. Avendo come obbiettivo l'integrazione sociale, il maestro Martinelli ha inteso sfruttare la magia del teatro per accogliere, conoscere e aiutare nel processo di integrazione i ragazzi richiedenti asilo del Centro di Prima Accoglienza presente nel nostro paese.
Dopo aver svolto un Laboratorio di Teatro durato cinque mesi e che ha visto la partecipazione di dodici allievi del Centro di Orientamento ed Educazione Teatrale e cinque richiedenti asilo politico, ieri è andato in scena "Illo, ho, ho, my lord" sul palco del Laboratorio Urbano Corato Open Space in Viale E. Fieramosca.
Si tratta di una rivisitazione dell'Amleto di Shakespeare, proprio quell'Amleto sospeso nei suoi pensieri, tra l'essere o non essere, parlare o tacere, agire o non agire, una condizione non molto distante da quella di chi costretto ad essere profugo si trova obbligato inevitabilmente ad affrontare quel dubbio amletico: andare o restare.
Ma essere o non essere è un problema che coinvolge anche chi si trova dall'altra parte, chi è indeciso sul da farsi, chi non sa come comportarsi di fronte ad un fenomeno sociale così importante e delicato qual è quello dell'emigrazione. Ed ecco che oggi quell'essere o non essere stando al passo con i tempi cambia forma e diviene: accogliere o non accogliere.
La risposta è semplice ed è lo stesso protagonista a darla, quell'Amleto che agisce e basta. Perché se c'è un tempo per ragionare e dibattere, attestarsi su una posizione o un'altra, c'è anche quello di passare all'azione, e dinanzi al flusso di esseri umani che chiedono asilo nella nostra terra per rimanere aggrappati a quell'ultima speranza di riscatto, di sopravvivenza , non si può rimanere indifferenti, non si possono voltare le spalle ad un fratello che soffre, perché siamo umani e se c'è ancora dell'etica in questa società allora non possiamo trascurare quella che è la vera essenza dell'uomo, essere con e per l'altro, relazionarsi.
Missione riuscita dunque per Francesco Martinelli che grazie al teatro è riuscito a dare spazio a dei ragazzi fantastici, mostrandoci un grosso esempio di umanità avanti e dietro le quinte perché proprio grazie al teatro sono nate relazioni interpersonali, rapporti autentici destinati a lasciare un segno indelebile nelle vite dei ragazzi dalle cui interpretazioni è emerso anche sul palco tutto quell'entusiasmo esploso poi dopo l'esibizione in un vulcano di gioia, sorrisi e abbracci che hanno coinvolto tutto il pubblico in piedi per una standing ovation dovuta e sincera.
Chapeau.