Diecimila chilometri per dare forma al sogno di Francesco
Da Oita a Corato sui luoghi di Francesco Ludovico Tedone. Esclusiva
mercoledì 20 febbraio 2019
9.04
Un viaggio lungo 10mila chilometri; un volo di 16 ore per ritrovare Francesco negli occhi dei suoi genitori e dei suoi fratelli, nei racconti dei suoi amici, per poter guardare quei paesaggi che Francesco amava loro descrivere, per respirare l'aria della Puglia, la terra in cui era nato quel ragazzo speciale che aveva fatto parte della loro famiglia per un intero anno.
Corato, un puntino sulla carta geografica, così lontano dal Giappone, così piccolo al cospetto di un'Italia meravigliosa, terra di cultura e monumenti, culla della civiltà occidentale. Eppure il luogo ormai indissolubilmente legato a Oita, a quella grande città del Giappone, quella città in cui Francesco Ludovico Tedone si sentiva a casa. Quella città in cui ha trascorso l'ultimo anno della sua vita con la famiglia Yokono.
Susumu e Akemi Yokono Corato ce l'avevano nel cuore, tanto quanto Francesco aveva nel suo la loro Oita. Non perché l'avessero mai visitata, né mai conosciuta; ma solo e soltanto perché a Corato riposa il loro "Cesco", vittima innocente di una ingiusta strage.
Oggi la famiglia Yokono è tornata in Giappone. Susumu e Akemi, coi loro figli Kaito e Aoi e nonna Natsuko hanno potuto ritrovare gli occhi di Francesco, vivere ancora un pezzo della sua vita e salutarlo ancora una volta, in un pianto dirompente, forse il vero rivelatore della grandezza del privilegio di cui hanno potuto godere ospitandolo in casa.
La famiglia "adottiva" di Francesco, la famiglia che lo accolse nell'anno di intercultura, è stata a Corato per una settimana, adottata a sua volta dai cari di Francesco, dai suoi amici, da chi ha condiviso con lui il breve percorso di vita. Ha scelto di parlare con noi, di raccontare la propria esperienza, affinché il sogno di Francesco di legare il Giappone alla terra natìa non svanisse con la sua prematura scomparsa.
Francesco è stato ospite della famiglia Yokono sino a qualche giorno prima di quel tragico 12 luglio 2016, il giorno dell'incidente ferroviario sulla Andria – Corato che lo strappò all'affetto dei suoi cari.
Quando chiediamo a Susumu e Akemi del loro rapporto con Francesco la tipica riservatezza giapponese lascia spazio a momenti di forte emozione, condivisa con la famiglia Tedone. A farci da interprete è Valeria, una giovane studentessa abruzzese che ha vissuto la stessa esperienza di intercultura con Francesco. È dallo scambio di sguardi, è dall'incomprensibile dialogo tra loro che subito comprendiamo quanto profondo sia il sentimento che trasuda dalle loro parole.
«Quando abbiamo deciso di ospitare uno studente lo abbiamo fatto sapendo che avremmo accolto una persona brillante. Non ci saremmo però aspettati di imbatterci in un giovane così tanto brillante, veramente speciale. Sin da subito il suo atteggiamento lasciava trasparire quel grande amore per la cultura e per la lingua giapponese, una cultura che avrebbe voluto integrare con quella del suo paese» ci dice Susumu.
Un amore che ben presto Francesco ha trasferito anche alla sua famiglia di accoglienza, con la quale si è creato subito un feeling molto forte. «Siamo stati felicissimi quando ha iniziato a chiamarci "mamma e papà", ancor più felici quando Francesco ci ha salutati dicendoci che la più bella esperienza vissuta in Giappone è stata l'aver incontrato noi». Il sorriso dei figli Kaito e Aoi, e della nonna Natsuko sono la conferma di quanto corrisposto fosse quell'affetto.
Agli inizi di Luglio del 2016, Francesco ha fatto la sua valigia per ritornare a casa, a Corato. In quella valigia aveva riposto un anno indimenticabile e quel desiderio di trasferire in Italia quanto aveva potuto osservare e vivere in quel lontano paese che tanto amava.
«Francesco ci parlava spesso di Corato, di quanto fosse simile per clima e natura a Oita. Avrebbe voluto che Corato attingesse al modello di Oita per il suo miglioramento; desiderava raccontare la sua esperienza affinché la sua città potesse progredire. Aveva vissuto con intensità l'esperienza dei club scolastici: per lui la scuola non era soltanto il luogo dello studio ma un luogo dove formarsi, anche nel corpo. Aveva iniziato a giocare a badminton, si impegnava tanto. Aveva persino formato il suo fisico attraverso lo sport».
Perché oggi siete qui?
Siamo venuti per salutare Francesco, perché il profumo di Francesco è qui. Tante volte Francesco ci ha detto che avrebbe voluto portarci in Italia, per visitarla, per farci conoscere i luoghi della sua vita. Oggi, essere qui con i suoi fratelli, con i suoi genitori per noi è come rivederlo, sentirlo ancora viaggiare con noi.
Come avete saputo dell'incidente?
Casualmente. Poco prima della partenza Francesco aveva installato una applicazione di messaggeria istantanea. Ci saremmo sentiti attraverso questa app. Una volta giunto in Italia ci ha mandato un messaggio, al quale abbiamo risposto. È stata l'ultima volta che ci siamo sentiti.
Il 12 luglio del 2016 anche i telegiornali giapponesi hanno parlato del disastro di Corato. Abbiamo guardato le immagini, abbiamo riconosciuto quel paesaggio che Francesco ci descriveva. Un senso di inquietudine ci ha assalito. Avevamo capito che quella era la terra di Francesco. Abbiamo chiamato l'AFS (l'intercultura giapponese): loro ci hanno confermato la terribile notizia. Akemi, allora, ha provato a contattare Natale (il fratello di Francesco, ndr) su Facebook.
Voi avete accolto i familiari di Francesco quando sono venuti a Oita ad incontrarvi. Oggi siete nella casa di Francesco, nella sede dell'associazione a lui intitolata, luogo in cui si respira il suo amore per il Giappone. Cosa significa per voi tutto questo?
Siamo genitori di due ragazzi, quasi coetanei di Francesco. Abbiamo da subito provato ad immedesimarci nel dolore della sua famiglia. La prima volta che abbiamo avuto un contatto coi familiari di Francesco è stato tramite skype. Abbiamo visto nei loro occhi e sul loro viso quanto grande fosse il dolore che stavano vivendo, non sapevamo cosa dire. Quasi ci sentivamo in colpa nei loro confronti: Francesco aveva vissuto con noi il suo ultimo anno, un anno sottratto all'affetto dei suoi genitori. Quando, però, ci siamo incontrati in aeroporto per la prima volta, la sincerità dell'abbraccio e il pianto comune ci ha legati. Ci siamo visti soltanto due volte ma è come se ci conoscessimo da sempre, come se tra di noi non esistessero barriere di spazio o di cultura. Oggi siamo felici di essere qui. La famiglia Tedone ci ha portato nei luoghi amati da Francesco, abbiamo scattato delle foto proprio lì dove le scattava lui. Visitare, poi, la sede dell'associazione, vedere la cura e l'attenzione per i particolari, che denota un grande amore per il Giappone, ci emoziona.
Francesco aveva un sogno: quello di trasferire a Corato quelle esperienze vissute a Oita, creare un legame stretto tra la sua città e la vostra. Unire le sue due città in un abbraccio lungo 10mila chilometri. E questo sogno non può svanire.
No, questo sogno non deve svanire. Non sappiamo nello specifico ciò che possiamo fare per realizzare il sogno di Francesco ma ci impegneremo a dare forma alle sue idee.
L'impegno della famiglia Yokono è anche l'impegno della famiglia Tedone e di tutti gli amici di Francesco. Ma è anche l'impegno della città di Oita, del suo sindaco che, riconoscendo il grande valore di quell'atto d'amore verso il Giappone da parte di Francesco accolse i suoi genitori nella casa comunale nel gennaio 2017.
In quell'occasione, nelle mani della famiglia Tedone fu consegnata dal sindaco di Oita una lettera da consegnare al sindaco di Corato: era la proposta di unire la città di Oita e la città di Corato in un gemellaggio. Il sogno di Francesco, a pochi mesi dalla sua scomparsa, iniziava a prendere forma.
Una lettera che puntualmente la famiglia Tedone portò al sindaco di Corato. Oggi quella lettera giace in un cassetto. Non ha avuto alcun seguito. La città di Francesco si sta facendo attendere, al contrario di quanto accaduto a 10mila chilometri di distanza. Le istituzioni di Oita hanno dimostrato una sensibilità ben superiore alle nostre. Il giovane "Marco Polo della cultura", con il suo amore verso il Giappone, ha costruito uno straordinario ponte che la città di Corato ancora non è decisa ad attraversare.
Corato presto avrà un nuovo sindaco, una nuova amministrazione comunale. Siamo certi che, chiunque venga eletto, avvierà l'iter per la costituzione del gemellaggio tra Corato e Oita come primo atto della propria amministrazione. Ammesso che il commissario prefettizio, che ha dimostrato in molte occasioni carattere e lungimiranza, non voglia accorciare i tempi e dare una risposta positiva al Comune di Oita. Una risposta che certamente accoglierà il favore unanime della comunità coratina.
Corato, un puntino sulla carta geografica, così lontano dal Giappone, così piccolo al cospetto di un'Italia meravigliosa, terra di cultura e monumenti, culla della civiltà occidentale. Eppure il luogo ormai indissolubilmente legato a Oita, a quella grande città del Giappone, quella città in cui Francesco Ludovico Tedone si sentiva a casa. Quella città in cui ha trascorso l'ultimo anno della sua vita con la famiglia Yokono.
Susumu e Akemi Yokono Corato ce l'avevano nel cuore, tanto quanto Francesco aveva nel suo la loro Oita. Non perché l'avessero mai visitata, né mai conosciuta; ma solo e soltanto perché a Corato riposa il loro "Cesco", vittima innocente di una ingiusta strage.
Oggi la famiglia Yokono è tornata in Giappone. Susumu e Akemi, coi loro figli Kaito e Aoi e nonna Natsuko hanno potuto ritrovare gli occhi di Francesco, vivere ancora un pezzo della sua vita e salutarlo ancora una volta, in un pianto dirompente, forse il vero rivelatore della grandezza del privilegio di cui hanno potuto godere ospitandolo in casa.
La famiglia "adottiva" di Francesco, la famiglia che lo accolse nell'anno di intercultura, è stata a Corato per una settimana, adottata a sua volta dai cari di Francesco, dai suoi amici, da chi ha condiviso con lui il breve percorso di vita. Ha scelto di parlare con noi, di raccontare la propria esperienza, affinché il sogno di Francesco di legare il Giappone alla terra natìa non svanisse con la sua prematura scomparsa.
Francesco è stato ospite della famiglia Yokono sino a qualche giorno prima di quel tragico 12 luglio 2016, il giorno dell'incidente ferroviario sulla Andria – Corato che lo strappò all'affetto dei suoi cari.
Quando chiediamo a Susumu e Akemi del loro rapporto con Francesco la tipica riservatezza giapponese lascia spazio a momenti di forte emozione, condivisa con la famiglia Tedone. A farci da interprete è Valeria, una giovane studentessa abruzzese che ha vissuto la stessa esperienza di intercultura con Francesco. È dallo scambio di sguardi, è dall'incomprensibile dialogo tra loro che subito comprendiamo quanto profondo sia il sentimento che trasuda dalle loro parole.
«Quando abbiamo deciso di ospitare uno studente lo abbiamo fatto sapendo che avremmo accolto una persona brillante. Non ci saremmo però aspettati di imbatterci in un giovane così tanto brillante, veramente speciale. Sin da subito il suo atteggiamento lasciava trasparire quel grande amore per la cultura e per la lingua giapponese, una cultura che avrebbe voluto integrare con quella del suo paese» ci dice Susumu.
Un amore che ben presto Francesco ha trasferito anche alla sua famiglia di accoglienza, con la quale si è creato subito un feeling molto forte. «Siamo stati felicissimi quando ha iniziato a chiamarci "mamma e papà", ancor più felici quando Francesco ci ha salutati dicendoci che la più bella esperienza vissuta in Giappone è stata l'aver incontrato noi». Il sorriso dei figli Kaito e Aoi, e della nonna Natsuko sono la conferma di quanto corrisposto fosse quell'affetto.
Agli inizi di Luglio del 2016, Francesco ha fatto la sua valigia per ritornare a casa, a Corato. In quella valigia aveva riposto un anno indimenticabile e quel desiderio di trasferire in Italia quanto aveva potuto osservare e vivere in quel lontano paese che tanto amava.
«Francesco ci parlava spesso di Corato, di quanto fosse simile per clima e natura a Oita. Avrebbe voluto che Corato attingesse al modello di Oita per il suo miglioramento; desiderava raccontare la sua esperienza affinché la sua città potesse progredire. Aveva vissuto con intensità l'esperienza dei club scolastici: per lui la scuola non era soltanto il luogo dello studio ma un luogo dove formarsi, anche nel corpo. Aveva iniziato a giocare a badminton, si impegnava tanto. Aveva persino formato il suo fisico attraverso lo sport».
Perché oggi siete qui?
Siamo venuti per salutare Francesco, perché il profumo di Francesco è qui. Tante volte Francesco ci ha detto che avrebbe voluto portarci in Italia, per visitarla, per farci conoscere i luoghi della sua vita. Oggi, essere qui con i suoi fratelli, con i suoi genitori per noi è come rivederlo, sentirlo ancora viaggiare con noi.
Come avete saputo dell'incidente?
Casualmente. Poco prima della partenza Francesco aveva installato una applicazione di messaggeria istantanea. Ci saremmo sentiti attraverso questa app. Una volta giunto in Italia ci ha mandato un messaggio, al quale abbiamo risposto. È stata l'ultima volta che ci siamo sentiti.
Il 12 luglio del 2016 anche i telegiornali giapponesi hanno parlato del disastro di Corato. Abbiamo guardato le immagini, abbiamo riconosciuto quel paesaggio che Francesco ci descriveva. Un senso di inquietudine ci ha assalito. Avevamo capito che quella era la terra di Francesco. Abbiamo chiamato l'AFS (l'intercultura giapponese): loro ci hanno confermato la terribile notizia. Akemi, allora, ha provato a contattare Natale (il fratello di Francesco, ndr) su Facebook.
Voi avete accolto i familiari di Francesco quando sono venuti a Oita ad incontrarvi. Oggi siete nella casa di Francesco, nella sede dell'associazione a lui intitolata, luogo in cui si respira il suo amore per il Giappone. Cosa significa per voi tutto questo?
Siamo genitori di due ragazzi, quasi coetanei di Francesco. Abbiamo da subito provato ad immedesimarci nel dolore della sua famiglia. La prima volta che abbiamo avuto un contatto coi familiari di Francesco è stato tramite skype. Abbiamo visto nei loro occhi e sul loro viso quanto grande fosse il dolore che stavano vivendo, non sapevamo cosa dire. Quasi ci sentivamo in colpa nei loro confronti: Francesco aveva vissuto con noi il suo ultimo anno, un anno sottratto all'affetto dei suoi genitori. Quando, però, ci siamo incontrati in aeroporto per la prima volta, la sincerità dell'abbraccio e il pianto comune ci ha legati. Ci siamo visti soltanto due volte ma è come se ci conoscessimo da sempre, come se tra di noi non esistessero barriere di spazio o di cultura. Oggi siamo felici di essere qui. La famiglia Tedone ci ha portato nei luoghi amati da Francesco, abbiamo scattato delle foto proprio lì dove le scattava lui. Visitare, poi, la sede dell'associazione, vedere la cura e l'attenzione per i particolari, che denota un grande amore per il Giappone, ci emoziona.
Francesco aveva un sogno: quello di trasferire a Corato quelle esperienze vissute a Oita, creare un legame stretto tra la sua città e la vostra. Unire le sue due città in un abbraccio lungo 10mila chilometri. E questo sogno non può svanire.
No, questo sogno non deve svanire. Non sappiamo nello specifico ciò che possiamo fare per realizzare il sogno di Francesco ma ci impegneremo a dare forma alle sue idee.
L'impegno della famiglia Yokono è anche l'impegno della famiglia Tedone e di tutti gli amici di Francesco. Ma è anche l'impegno della città di Oita, del suo sindaco che, riconoscendo il grande valore di quell'atto d'amore verso il Giappone da parte di Francesco accolse i suoi genitori nella casa comunale nel gennaio 2017.
In quell'occasione, nelle mani della famiglia Tedone fu consegnata dal sindaco di Oita una lettera da consegnare al sindaco di Corato: era la proposta di unire la città di Oita e la città di Corato in un gemellaggio. Il sogno di Francesco, a pochi mesi dalla sua scomparsa, iniziava a prendere forma.
Una lettera che puntualmente la famiglia Tedone portò al sindaco di Corato. Oggi quella lettera giace in un cassetto. Non ha avuto alcun seguito. La città di Francesco si sta facendo attendere, al contrario di quanto accaduto a 10mila chilometri di distanza. Le istituzioni di Oita hanno dimostrato una sensibilità ben superiore alle nostre. Il giovane "Marco Polo della cultura", con il suo amore verso il Giappone, ha costruito uno straordinario ponte che la città di Corato ancora non è decisa ad attraversare.
Corato presto avrà un nuovo sindaco, una nuova amministrazione comunale. Siamo certi che, chiunque venga eletto, avvierà l'iter per la costituzione del gemellaggio tra Corato e Oita come primo atto della propria amministrazione. Ammesso che il commissario prefettizio, che ha dimostrato in molte occasioni carattere e lungimiranza, non voglia accorciare i tempi e dare una risposta positiva al Comune di Oita. Una risposta che certamente accoglierà il favore unanime della comunità coratina.