Agricoltura, L'Abbate (M5S): «Il piano olivicolo stenta a partire»
«Tracollo nella produzione di extravergine di oliva»
giovedì 13 luglio 2017
16.41
Da leader indiscussi del mercato e punto di riferimento mondiale a "nobile decaduta", superata anche da paesi che non godono neppure di una stabilità politico-economica.
È il destino a cui sta andando tristemente incontro l'Italia nel settore olivicolo-oleario con un tracollo nella produzione di olio extravergine d'oliva pari al 31% negli ultimi sei anni. A lanciare l'allarme è il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) Gennaro Sicolo, secondo il quale "il trend di lungo periodo della produzione è in forte calo, mentre i più agguerriti concorrenti europei e mondiali registrano tassi di crescita produttiva eccezionali". Stando ai dati provvisori della corrente campagna di commercializzazione dell'olio di oliva (ottobre 2016 – settembre 2017), pubblicati dalla Commissione europea su dichiarazioni periodiche trasmesse dai singoli Stati membri, a superare le 183mila tonnellate italiane ci sarebbero anche paesi come la Tunisia e la Siria, oltre la Grecia e la Spagna, attuale maggiore esportatore sul mercato globale con una quota del 53%. Ciò, mentre l'Italia ha visto scendere la propria percentuale di esportazioni mondiali dal 46% al 36% in 25 anni (dal 1990 al 2015).
"Dopo i dati del Crea e del Centro Studi Confagricoltura, resi noti in primavera, che parlavano di una Italia scivolata al quarto posto e con prezzi medi per il proprio prodotto esportato nettamente più bassi di quelli iberici, ecco un altro eclatante segnale di crollo per l'olivicoltura italiana – dichiara il deputato Giuseppe L'Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura alla Camera – Alcune delle motivazioni del tracollo della produzione sono note da tempo come l'abbandono dei campi, la frammentazione delle imprese nonché il mancato ammodernamento del settore. Ma se la Spagna ci ha superato in maniera così evidente è anche perché mentre gli iberici in 30 anni hanno realizzato ben cinque piani olivicoli, in Italia stenta ancora a prendere avvio il primo piano ottenuto, nel maggio 2015, grazie alla nostra risoluzione in Commissione a Montecitorio e atteso da tantissimi anni dal comparto. Continuiamo a sollecitare il ministro Martina a mantenere gli impegni presi in Parlamento".
Ciò che permette all'Italia di rimanere ancora il paese di eccellenza dell'extravergine sono proprio le importazioni da quei territori oggi maggiormente produttivi che forniscono materia prima, da cui vengono creati blend miscelando le diverse partite e mantenendo i marchi nazionali. Secondo il Cno, "per risalire le classifiche internazionali servirebbero almeno 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25mila nuovi addetti per assicurare il ricambio generazionale nei campi" ma senza una "politica di investimenti" e "un orientamento favorevole verso la tecnologia, l'innovazione e l'impresa" ciò non sarà possibile.
"Sarebbe ora, pertanto – conclude il deputato Giuseppe L'Abbate (M5S) – che il Governo si concentri sul finanziamento dei piani produttivi nazionali di filiera, ad iniziare da quello olivicolo, piuttosto che perpetrare una politica di regalie al mondo delle banche, come per i 17 miliardi di euro per il decreto banche venete".
È il destino a cui sta andando tristemente incontro l'Italia nel settore olivicolo-oleario con un tracollo nella produzione di olio extravergine d'oliva pari al 31% negli ultimi sei anni. A lanciare l'allarme è il presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori (Cno) Gennaro Sicolo, secondo il quale "il trend di lungo periodo della produzione è in forte calo, mentre i più agguerriti concorrenti europei e mondiali registrano tassi di crescita produttiva eccezionali". Stando ai dati provvisori della corrente campagna di commercializzazione dell'olio di oliva (ottobre 2016 – settembre 2017), pubblicati dalla Commissione europea su dichiarazioni periodiche trasmesse dai singoli Stati membri, a superare le 183mila tonnellate italiane ci sarebbero anche paesi come la Tunisia e la Siria, oltre la Grecia e la Spagna, attuale maggiore esportatore sul mercato globale con una quota del 53%. Ciò, mentre l'Italia ha visto scendere la propria percentuale di esportazioni mondiali dal 46% al 36% in 25 anni (dal 1990 al 2015).
"Dopo i dati del Crea e del Centro Studi Confagricoltura, resi noti in primavera, che parlavano di una Italia scivolata al quarto posto e con prezzi medi per il proprio prodotto esportato nettamente più bassi di quelli iberici, ecco un altro eclatante segnale di crollo per l'olivicoltura italiana – dichiara il deputato Giuseppe L'Abbate, capogruppo M5S in Commissione Agricoltura alla Camera – Alcune delle motivazioni del tracollo della produzione sono note da tempo come l'abbandono dei campi, la frammentazione delle imprese nonché il mancato ammodernamento del settore. Ma se la Spagna ci ha superato in maniera così evidente è anche perché mentre gli iberici in 30 anni hanno realizzato ben cinque piani olivicoli, in Italia stenta ancora a prendere avvio il primo piano ottenuto, nel maggio 2015, grazie alla nostra risoluzione in Commissione a Montecitorio e atteso da tantissimi anni dal comparto. Continuiamo a sollecitare il ministro Martina a mantenere gli impegni presi in Parlamento".
Ciò che permette all'Italia di rimanere ancora il paese di eccellenza dell'extravergine sono proprio le importazioni da quei territori oggi maggiormente produttivi che forniscono materia prima, da cui vengono creati blend miscelando le diverse partite e mantenendo i marchi nazionali. Secondo il Cno, "per risalire le classifiche internazionali servirebbero almeno 150 milioni di nuovi olivi in produzione e almeno 25mila nuovi addetti per assicurare il ricambio generazionale nei campi" ma senza una "politica di investimenti" e "un orientamento favorevole verso la tecnologia, l'innovazione e l'impresa" ciò non sarà possibile.
"Sarebbe ora, pertanto – conclude il deputato Giuseppe L'Abbate (M5S) – che il Governo si concentri sul finanziamento dei piani produttivi nazionali di filiera, ad iniziare da quello olivicolo, piuttosto che perpetrare una politica di regalie al mondo delle banche, come per i 17 miliardi di euro per il decreto banche venete".